La positività al Covid-19 scoperta negli Stati uniti dal generale Abbas Ibrahim non ha fermato i negoziati in corso tra il capo dell’intelligence libanese e rappresentanti di alto profilo dell’Amministrazione Trump come il sottosegretario di Stato Usa, David Hale, la direttrice della Cia, Gina Haspel, e il consigliere per la Sicurezza nazionale, Robert ÒBrien. Negoziati che dovrebbero permettere la liberazione di Austin Tice e di Majd Kamalmaz, due statunitensi detenuti in Siria. I colloqui continuano al telefono, hanno fatto sapere fonti americane. Oltre a Ibrahim, in buone condizioni, sono in isolamento Hale e diversi funzionari del Dipartimento di Stato, forse anche Gina Haspel.

L’arrivo negli Usa del numero uno degli 007 libanesi conferma le indiscrezioni su una trattativa ben avviata tra Beirut, Damasco e Washington che potrebbe sfociare in intese di rilievo dietro le quinte tra l’Amministrazione Trump e due dei suoi nemici: il movimento sciita libanese Hezbollah e il presidente siriano Bashar Assad, stretti alleati dell’Iran. Sullo sfondo ci sono le popolazioni della Siria e del Libano che soffrono le pesanti conseguenze del Caesar Act, le sanzioni economiche e politiche contro Damasco che Washington applica da alcuni mesi.

Il Wall Street Journal e altri media statunitensi hanno riferito che Kash Patel, un assistente di Trump, si è recato di persona a Damasco ad agosto per colloqui con le autorità siriane, i primi di alto livello dal 2012, per ottenere il rientro in patria di Majd Kamalmaz, uno psicologo arrestato alla periferia della capitale siriana nel 2017, e Austin Tice, un giornalista ed ex marine scomparso nel 2012 in territorio siriano. Poi dopo tanti contatti segreti è entrato in scena Abbas Ibrahim, l’uomo dei contatti tra nemici giurati, che avendo legami stretti con i vertici di Hezbollah di fatto ha portato nella trattativa il movimento sciita. Ibrahim un anno fa era stato fondamentale per il rientro negli Usa di un altro americano bloccato in Siria.

Il quotidiano governativo siriano Al-Watan conferma il negoziato in corso. Patel, scrive, ha incontrato a Damasco il generale Ali Mamlouk, il capo dell’intelligence siriana con risultato incerti. Tice e Kamalmaz, avrebbe messo in chiaro Mamlouk, a casa ci torneranno se gli Usa ritireranno uomini e mezzi dalla Siria nord-orientale. Damasco tiene il prezzo alto perché, dice, Tice non sarebbe un giornalista bensì un agente dei servizi Usa incaricato di tenere i rapporti con i gruppi armati jihadisti nella Ghouta orientale. Alla fine però potrebbe accettare un allentamento delle sanzioni approvate dagli Stati uniti.

Washington replica che la richiesta è inaccettabile ma non può tirare troppo la corda. Trump, dato per sconfitto dai sondaggi, è alla ricerca disperata di consensi. Vorrebbe l’annuncio del rientro a casa di Tice e Kamalmaz prima delle presidenziali del 3 novembre. Il suo entourage gli ha spiegato che Abbas Ibrahim è l’uomo giusto per arrivare a un accordo. Il generale libanese – che in questi giorni parla anche a nome della Siria – avrebbe avuto un ruolo nelle trattative che nei giorni scorsi hanno visto liberazione di altri due statunitensi (Sandra Loli e Mikael Gidada) da parte degli insorti yemeniti Houthi, vicini all’Iran, in cambio del ritorno in Yemen di 271 guerriglieri tenuti prigionieri a Muscat, in Oman.

In quel caso Trump ha obbligato l’alleata Arabia saudita, nemica degli Houthi, a non opporsi alla trattativa. Peraltro nelle ultime settimane si sono interrotti gli attacchi aerei israeliani in Siria contro presunte postazioni iraniane e di Hezbollah. Qualcuno sussurra che Washington avrebbe fatto pressioni su Tel Aviv anche per l’avvio senza condizioni, avvenuto la scorsa settimana, dei colloqui con il Libano per la delimitazione delle frontiere marittime tra i due paesi e la spartizione di aree dove si trovano ricchi giacimenti di gas naturale di cui ha bisogno soprattutto Beirut in grave crisi economica.