Life After Oil, il festival cinematografico che si occupa di ambiente e di diritti umani, arriva alla nona edizione. Ad ospitarlo, dal 20 al 24 settembre, sarà Villanovaforru, un piccolo paese nella provincia del Sud Sardegna. Sono cinquanta i film in concorso. Vasto lo spettro dei temi affrontati: dall’agricoltura sostenibile ai danni provocati dall’inquinamento, dalla violenza di genere ai diritti dell’infanzia negati, da storie di riscatto sociale a buone pratiche di tutela del paesaggio. Le sezioni sono: ambiente, diritti umani, animazione, sperimentali. L’organizzazione è dell’associazione culturale Life After Oil, con la direzione di Massimiliano Mazzotta.

Nella sezione ambiente si va dalla storia di una comunità in Namibia dove tutto ruota intorno all’estrazione dei diamanti al centro del documentario Desert Paradise, diretto dall’olandese Ike Bertels, ai boschi sardi raccontati in Arbores da Francesco Bussalai. Ci sono inoltre la produzione tedesca The Recycling Myth, inchiesta sul riciclo della plastica firmata da Tom Costello, e Tricked into Surgery: India’s Hysterectomy Scandal della francese Mathilde Cusin, che indaga il legame tra isterectomia e i pesticidi usati nelle piantagioni di canna da zucchero indiane. Da segnalare anche Emptiness Crossing Us di Fernando Moreira, che porta sullo schermo la storia di una tragedia mineraria in Brasile, Home Town di Zahara Hosseini, sullo sfruttamento del lavoro umano in una miniera di carbone in Iran, e Black Tide di Andres Posse e Stephanie Bates, sui danni delle fuoriuscite di petrolio in Colombia causate dai boicottaggi dei narcotrafficanti.

Molti i titoli interessanti anche sul tema dei diritti umani. Libya War on the Road di Lorenzo Moscia è realizzato con materiale girato durante la crisi libica del 2011, mentre Yemen’s Dirty War, diretto dai francesi Guillame Dasquié e Nicolas Jiallard, è sulla guerra dimenticata che insanguina la penisola arabica. In concorso anche Feminity di Mohsen Ostad Alì, che racconta storie difficili di donne iraniane, e Tin City Voices, nel quale il canadese Elijah Marchand mostra la vita in un ghetto di Georgetown, in Guyana.

Degli abusi della polizia in nome dell’emergenza antiterrorismo in Francia racconta 4AM di Mehdi Fikri, mentre il lavoro in una fabbrica di mattoni in Iran è al centro di Dusty Dream, diretto da Soleiman Rahimi. E poi ancora, By Reason or Force di Giarella Araya Vega, sui bambini spediti in scuole gestite dall’esercito cileno perché ricevano un’educazione ispirata ai valori del militarismo nazionalista, e A Dead Sea dell’israeliano Nahd Bashir, su un palestinese che viene ucciso dai soldati israeliani perché scambiato per un terrorista.

C’è spazio anche per l’ animazione. Sono in concorso il tunisino Edicius di Emir Haj Salah, nel quale viene affrontato il tema del bullismo, e il messicano Tio di Juan Medina, che in stop motion racconta il primo giorno di lavoro di un giovane minatore. Selezionati anche Nothing Left del regista inglese Frankie Sutton, sull’incubo della guerra nucleare, e We Are Not Alone di Francesca Floris, che attinge alla cultura sarda riprendendo la figura del demone del sonno, S’Ammuttadori. Tra le proiezioni «sperimentali» da segnalare, Wedding Cake di Monica Mazzitelli, che utilizza i pupazzi playmobil per raccontare la storia di una donna costretta a prostituirsi, Squared dell’ucraina Helena Gudkova, che gioca con famose opere d’arte, e Awakening of the Goddess di Debjani Mukherjee, sulla violenza di genere in India.
Nella sezione World Panorama sono da vedere, Aparat dell’iraniano Hasan Najmabadi, che evoca la magia del cinema con un omaggio a Nuovo Cinema Paradiso di Tornatore, North Pole della regista macedone Marija Apcevska, che racconta il difficile passaggio della pubertà, e Sound of the Night di Chanrado Sok e Kongkea Vann, spaccato di vita tra le strade della capitale cambogiana Phnom Penh.