Nel novembre del 1951 l’imperatore giapponese Hirohito visita Kyoto ed una delle sue università più prestigiose, la Kyoto University. Al suo arrivo quando viene accolto dal rettore, un gruppo di circa tremila studenti accerchiano la macchina su cui si trova e a gran voce cantano l’Internazionale. L’imperatore deve rifugiarsi, scortato dalla polizia, all’interno dell’università, quest’accoglienza è l’evidente dimostrazione di come Hirohito non fosse il benvenuto e che nelle menti ancora fresche della generazione che aveva vissuto sulla propria pelle la guerra, era ritenuto uno dei responsabili principali dell’inutile massacro bellico. È questo solo uno degli esempi più celebri di come la Kyoto University, paradossalmente un tempo una delle università imperiali, sia stata nel corso dei decenni sempre in prima linea per quel che riguarda attivismo e proteste anti-imperiali. Naturalmente fu un luogo strategico e di coagulazione molto importante anche a partire dalla fine degli anni sessanta, quando proprio da qui mossero i primi passi molti dei gruppi che poi sarebbero diventati importanti ed attivi nella galassia della sinistra extraparlamentare giapponese.

Uno dei luoghi più ricchi di storia e mitizzati dell’università è il dormitorio Yoshida, la cui prima costruzione risale al 1913 e che nel corso degli anni, essendo gestito direttamente da un consiglio di studenti, ha spesso funzionato come cartina tornasole del grado di autonomia di quest’ultimi rispetto ai vertici universitari. Nel dicembre dello scorso anno l’università, che ricordiamo è statale e fu fondata nel 1897, ha annunciato il piano per la demolizione del dormitorio, con il limite per abbandonare gli edifici per chi dentro vi abita, fissato per questo settembre. Se è vero che le condizioni in cui versa il dormitorio sono piuttosto scalcinate, per usare un eufemismo, è altrettanto vero che la posta in gioco va ben oltre l’edificio in sé. Perché si tratta prima di tutto di un modo per eliminare un importante centro di aggregazione per i movimenti studenteschi di sinistra, movimenti che sì negli anni sessanta e settanta erano più voluminosi e spesso trovavano spazio nei media, ma che ancora oggi sono delle importanti fucine dell’antagonismo anti-capitalistico dell’arcipelago. Non secondario poi è il fatto che attualmente si può alloggiare nel dormitorio con un affitto mensile di circa 20 euro, il rimanente viene versato dal consiglio studentesco stesso, un salvagente per molti studenti che non hanno una famiglia abbiente alle spalle. In pratica la decisione di evacuare il dormitorio e di demolirlo con il progetto futuro ancora da decidere, ha estromesso gli studenti dal processo decisionale che per molti decenni era stato un campo di battaglia ricco di conquiste sociali.

Per controbattere a questa decisione unilaterale, il consiglio che gestisce il dormitorio ha lanciato una petizione online dove chiede fra le altre cose di partecipare alle decisioni riguardanti l’edificio, comprese quelle di una possibile ristrutturazione. Come è stato acutamente fatto notare dallo studioso William Andrews, questo episodio porta alla luce una preoccupante tendenza che sta prendendo sempre di più piede nel Sol Levante. Con le scuse della sicurezza e della decenza, molti dei campus universitari in giro per l’arcipelago, più facilmente in quelli privati che in quelli pubblici, stanno venendo lentamente ma inesorabilmente «ripuliti» da qualsiasi forma di attivismo o raggruppamento politico, specialmente quello di sinistra. In questo modo in un processo di apparente eliminazione della politica dalla scena pubblica, specialmente quella universitaria, si finirà per lasciare spazio ai mostri generati dal liberismo e dalle destre che sempre di più sembrano ritornare in auge.

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