Quindici anni di vita, tre album per l’etichetta tedesca Act, l’incontro tra jazzisti europei che hanno un repertorio fitto di brani originali con qualche rilettura, da Monteverdi a Trénet. Questo è Mare Nostrum, una formazione che vede il sardo Paolo Fresu, il nizzardo Richard Galliano e lo svedese Jan Lundgren – provenienti dal sud dei rispettivi paesi – nata quando nel Mediterraneo c’erano meno problemi, come ha allusivamente affermato il trombettista. Serata di tutto esaurito per il recital organizzato dall’Istituzione Universitaria dei Concerti, nella storica Aula Magna della Sapienza, con la presentazione del recentissimo cd Mare Nostrum III che gli artisti hanno siglato per i molti fan, alla fine del set. La loro si è imposta come una raffinata – a tratti garbata – musica da camera contemporanea, in cui ingredienti vari si mescolano tra jazz, accenni di tango, folclore scandinavo, valzer musette, episodi classici (la fascinosa e dolente “Sì dolce è il tormento” di Claudio Monteverdi, usata come uno dei tre bis), canzone in senso ampio. L’impasto sempre mutevole tra il nitido pianoforte di Lundgren, il seducente accordion di Galliano, gli ottoni (tromba ma soprattutto flicorno) più effetti naturali (la sordina Harmon) ed elettronici di Fresu ha garantito un’ampia tavolozza di suoni. Tempi medio-lenti, ritmo soffuso, dinamiche ovattate, i brani si sono susseguiti pescando dai tre album con riletture-esposizioni sempre eleganti e ben arrangiate, improvvisazioni sapienti ed una classe che non manca a nessuno dei tre artisti, anche se Galliano ha un po’ sedato i propri slanci e Fresu “sordinato”, almeno in parte, le sue uscite solistiche.

BELLA MUSICA, senza ombra di dubbio, tra Pavese, Principessa, Letter to My Mother, Love to Return, Mare Nostrum. Quello che è mancato, almeno a chi scrive, è stato lo scarto improvviso, il volo imprevisto, la deviazione felice, qualcosa che mettesse in crisi un meccanismo sonoro fin troppo perfetto ed “educato”. Qua e là sono emerse code polifoniche improvvisate, sequenze più veloci e ritmate (con il contributo di Lundgren), episodi ironici, variazioni su pedali vertiginose sempre, però, rientrando in un clima espressivo generale di qualità tendente tuttavia all’uniforme, al “monocromo”. Sentito e pregevole l’omaggio a Michel Legrand da poco scomparso (Le moulin de mon coeur) come la ripresa sentimentale di Que reste-t-il de nos amours?ed i sempre effervescenti bis. Musica che rincuora e non inquieta, comunque un sano presidio artistico.