Miliardi di persone consumano prodotti derivati dal commercio di specie selvatiche, animali e piante; spesso senza rendersene conto», spiega il World Wildlife Trade Report, primo rapporto globale della Cites, la Convenzione sul commercio internazionale di specie selvatiche di fauna e flora minacciate entrata in vigore nel 1975 – dopo decenni di saccheggi di animali e piante esotiche. Il suo orizzonte, la Vision 2030, è che l’intero commercio internazionale delle specie selvatiche diventi legale, tracciabile, sostenibile. La diciannovesima Conferenza delle parti della Cites (Cop19) si è appena svolta a Panama, dopo la Cop27 sul clima e prima della Cop15 sulla biodiversità, dal 7 al 19 dicembre in Canada.

LA CITES, 183 STATI ADERENTI, si occupa di regolamentare – con permessi e certificati – gli scambi internazionali legali di 38.000 specie selvatiche, per la maggior parte vegetali (piante e alberi). E’ vietato l’import-export del 3% di queste specie, classificate nell’appendice I della Convenzione (sul fronte animale si va dagli elefanti ai rinoceronti, dai pangolini ai primati hominidae ecc.). E’ permesso ma controllato il commercio del restante 97% .

FERMARE LA PERDITA di biodiversità, minacciata dall’ipersfruttamento oltre che dal degrado degli ecosistemi e dai cambiamenti climatici: a Panama, in omaggio a questo principio, gli oltre 160 governi presenti hanno aggiunto alla protezione Cites quasi 100 specie di squali e razze (vietato il commercio di carne e pinne), oltre 150 specie di alberi e piante, 160 specie di anfibi (gli animali più colpiti dal cambiamento del clima), 50 specie di testuggini e tartarughe (quelle di acqua dolce sono uno dei gruppi di vertebrati più a rischio di estinzione) e diverse specie di uccelli canori. Per alcuni fra i nuovi arrivati ci saranno nuove restrizioni, per altri un divieto totale di commercio, come per l’uccello canoro bulbul dalla testa di paglia, stremato dall’enorme domanda di uccelli canori da gabbia (ma molti altri rimangono privi di tutela benché minacciati).

SALVATE LA VAQUITA! La Phocoena sinus è uno dei cetacei più piccoli al mondo. Ne sono rimasti solo 20 esemplari nel golfo de Messico. Vittima collaterale: finisce nelle reti che pescano massicciamente il totoaba. Per tutelarla, le parti della Cites hanno deciso di limitare il prelievo di questo pesce. Si è discusso, e non è passato, un allentamento del divieto assoluto di commercio di zanne di elefante e corno di rinoceronte (purtroppo il commercio illegale è ancora vivace, come quello delle scaglie di pangolino e molto altro).

L’APPLICAZIONE E I CONTROLLI sono il lavoro duro a valle. Cites, Interpol e altri soggetti sono uniti nel Consorzio internazionale per combattere i reati relativi alle specie selvatiche (Iccwc) che per la prima volta ha deciso di inserire nelle indagini la criminalità finanziaria. Per la Cop19, l’Iccwc ha pubblicato la seconda edizione del World Wildlife Crime Report, che dà conto anche dei sequestri per mancanza di licenze o irregolarità.

LA MENTALITA’ ESTRATTIVA applicata alla vita selvatica è stata la regola cieca, mentre, si proclama, «il commercio legale contribuisce alla conservazione delle specie e degli habitat, alle condizioni di vita delle comunità locali e alle economie nazionali e può essere un incentivo per le autorità nazionali a gestire meglio la vita selvatica». Lo ha detto Inger Andersen, segretaria generale del Programma Onu per l’ambiente.

PUO’ SEMBRARE LA QUADRATURA del cerchio, questo intento duplice, ribadito dal World Wilflife Trade Report. Fra il 2011 e il 2020, i carichi legali hanno spostato nel mondo 1,3 miliardi di «organismi individuali» (di cui 86 milioni animali) più 279 milioni di kg in aggiunta (per un terzo di animali). Il reddito globale generato dal commercio legale di specie selvatiche (Cites e non-Cites) è stato calcolato in 220 miliardi di dollari annui. Quello illegale, ma devastante, si stima in un range fra 7 e 23 miliardi annui. Fra gli animali, il maggior valore è legato a rettili (soprattutto coccodrilli per la pelle) e pesci (storione per il caviale), fra le piante al legno. E’ arrivata al 18% la quota di export di specie che pur essendo selvatiche vengono ora coltivate o allevate. Il rapporto cerca di individuare da un lato gli impatti positivi del commercio legale sullo stato delle specie Cites e delle altre (alcuni impatti sono negativi), e sugli habitat; dall’altro le ricadute socioeconomiche in termini di reddito generato (ai vari livelli della filiera, a partire dai raccoglitori), contributo al Pil, creazione di impieghi, miglioramento della nutrizione e della salute, empowerment locale e di genere, effetti sulla coesione comunitaria, effetti sul conflitto uomo-selvatici, effetti sulla resilienza climatica.

IL CASO DELLA VIGOGNA, per esempio, è oggetto di un focus. Minacciata di sparire a causa dell’ambito vello finché nel 1969 Perú e Bolivia accettarono un bando sulla caccia per 10 anni. Nel 1975 fu inserita nell’appendice I Cites. La popolazione si è ripresa via via grazie alla tutela e al progetto Chacu (cattura, tosatura e poi rilascio senza mattanza) gestito dalle comunità locali. Ma non va sempre così.

IL COMMERCIO DI ANIMALI, anche quando è legale e lodato dalla Cities, risponde a bisogni superflui, di lusso e spesso cruenti. Si pensi alla cattura di coccodrilli o all’allevamento di pitoni per borse scarpe & affini (e così La Conceria, dal 1893 organo di informazione «dal mondo della pelle» può titolare Garantisce Cites: il commercio di pelli esotiche è green. E i volatili da mettere in gabbie domestiche? E le parti di animali considerate terapeutiche o energetiche da certi filoni di cura, con il risultato ad esempio di sterminare gli asini africani (non sono nella Cites) per presunte virtù della loro pelle trasformata in Cina nella gelatina eijao? Per non dire delle possibili ricadute zoonotiche del commercio di animali vivi o di carne. Avverte il Wwf, autore ogni anno del Living Planet Report: è importante «cambiare il comportamento dei consumatori finali».

E’ DIVERSO PER LE 800 SPECIE di piante medicinali coinvolte nella normativa della Cites. Raccolte in foresta o coltivate, sono fonti di principi attivi anche per i raccoglitori o coltivatori locali. Anche se spesso questo primo anello della catena ottiene scarsissimi vantaggi commerciali. I guadagni si concentrano altrove. Nelle varie declinazioni di Big Pharma.