A chi non è venuto mai in mente di sgranchirsi le gambe e mettere due passi, dopo una giornata di lavoro trascorsa in ufficio? Per chi abita nelle grandi e medie città, il percorso di poche centinaia di metri non sempre è piacevole. Spesso i marciapiedi costeggiano le strade trafficate e i polmoni fanno fatica a ossigenare i muscoli del corpo intorpidito. Occorrerebbero percorsi pedonali più protetti e agevoli, per garantire la percorribilità dei tragitti casa-lavoro e casa-scuola a piedi o in bicicletta, perché i marciapiedi rappresentano la più grande palestra a cielo aperto all’interno di una città.
In questo modo lo spazio pubblico diventerebbe espressione di un progetto sociale, in grado di favorire l’attività motoria delle persone attraverso il cammino.

DA TEMPO IN ALCUNE CITTA’ del centro e nord Europa si portano avanti politiche per le Città Attive, cioè la riutilizzazione di spazi vuoti urbani in grado di favorire le relazioni fisiche. In Italia e in Europa esistono esperienze di gestione delle città, che rendono fruibili percorsi di movimento e l’acquisizione di corretti stili di vita.

Due studiosi italiani, Antonio Borgogni, docente di attività motorie e città attive all’università di Cassino e del Lazio Meridionale, e Romeo Farinella, architetto e docente di urbanistica presso la facoltà di architettura di Ferrara, hanno scritto un libro interessante: Le città attive. Percorsi pubblici nel corpo urbano (Fanco Angeli, euro 21), nel quale affrontano il problema delle città attive e riportano esperienze realizzate a livello europeo, un testo che ogni assessore che si occupa di tematiche ambientali dovrebbe avere a portata di mano.

A Ferrara sono state recuperate le vecchie mura della città, a lungo abbandonate e in stato di degrado, oggi diventate un circuito lungo dieci chilometri, frequentato da camminatori, corridori e ciclisti, ai quali negli ultimi tempi si sono aggiunti giovani donne di religione islamica che corrono o camminano con il velo. I frequentatori delle mura di Ferrara, soggetti appartenenti prevalentemente a fasce sociali deboli, svolgono attività motoria senza gravare sul bilancio famigliare.

A PARIGI, GRAZIE ALLE POLITICHE avviate da tempo dalle autorità locali per rendere attiva la città, signore in tailleur si muovono in monopattino. Oltre alle biciclette pubbliche Velib, in Italia molto usate in numerose città, si svolgono corsi nei parchi pubblici legati alla tradizione della gimnastique volontarie, cui si aggiunge la chiusura al traffico di un lungo tratto della Senna tra i Quai Banly e d’Orsay, occupato da cittadini dediti al cammino, allo jogging, a corsi di danza e allo yoga, senza trascurare i bambini, che ricorrono al Petit Velib. A seguito del successo riscontrato, a Parigi già da un anno è stata effettuata la chiusura al traffico anche della riva destra della Senna, tra il Tunnel de le Tuileires e il Bassin de l’Arsenal. Entrambe le rive chiuse al traffico sono state dotate di infrastrutture leggere che promuovono la percorribilità attraverso il cammino e l’attività motoria.

A BARCELLONA, ALCUNI SPAZI pubblici nel centro città, tradizionalmente deputati ad altri usi, sono divenuti ritrovo di skateborders, che rifiutando gli skate park, si esercitano sui sagrati delle chiese per via degli scalini, come avviene nella Plaza dels Angels. Una pratica che ha generato non pochi conflitti con le autorità locali e religiose, a causa del rumore delle ruote sulla pavimentazione. Sempre nella città catalana, un luogo divenuto simbolo del rifiuto degli spazi preposti a determinate attività è la Foixarda, una cava abbandonata lunga duecento metri e alta venti metri, divenuto luogo di ritrovo di arrampicatori provenienti da ogni parte del mondo.

In Olanda, già da tempo è in atto il processo che va sotto il nome di woonerf (aree condivise), regolata dalla legislazione approvata nel 1976, che obbliga a dare la precedenza al mezzo più debole nella gerarchia stradale, scelte adottate poi in Svizzera, Germania, Francia e Inghilterra. La migliore politica di città attiva è stata realizzata negli ultimi decenni a Copenaghen, grazie all’architetto Jan Gehl, consulente e progettista anche di Londra e di New York. La sua progettazione urbanistica, nella capitale danese, è stata costantemente volta alle esigenze dei pedoni e dei ciclisti, la strada che riassume la politica dell’architetto Jan Ghel è la Stroget, situata in una zona storica urbana è divenuta la più grande via d’Europa con divieto alle auto.

L’ARCHITETTO DANESE propone una riappropriazione dal basso della città, fondata sull’importanza dei luoghi collettivi, che determinano la natura dei rapporti sociali e interpersonali, una città a misura di strada e non di auto. Scrivono Borgogni e Farinella: «Natura, campagna, paesaggio divengono dunque i sostantivi di un progetto di città fondato sulla capacità di costruire reti di spazi aperti, in contesti urbani e metropolitani, la cui tendenza all’astensione va rimessa in discussione. Solamente in questo modo si possono stimolare stili di vita attivi, fondati innanzitutto sulla rivendicazione del diritto alla città e alla sua fruizione collettiva».

L’idea di città attiva è strettamente legata al concetto di camminare, che non può essere concepita separatamente dalle relazioni. I vantaggi che si determinano nel tessuto sociale, quando si programmano politiche di intervento per rendere attiva una città o tratti di essa, riguardano innanzitutto la salute e l’ambiente: si riduce sensibilmente l’inquinamento, la possibilità di contrarre malattie cardiocircolatorie e respiratorie, l’obesità. Ogni politica settoriale sarebbe destinata a fallire, le città attive, dove sono state realizzate, prevedono un’interazione articolata di strategie, che vanno dall’urbanistica alla sanità, al recupero di spazi abbandonati e degradati, che impediscono ulteriore estensione del territorio fino alla walkability, cioè la camminabilità di un’area per indurre le persone a muoversi a piedi, e dunque a ridurre, fino a cambiare, gli stili di vita sedentari.

L’ORGANIZZAZIONE MONDIALE della sanità, ha elaborato un sistema (Heat- Healt Economic Assessmant Tool), che mette a punto qual è il riflesso sulla salute di un sistema di infrastrutture pedonali e ciclabili. Sotto il profilo della salute, la vita sedentaria, che comporta una maggiore possibilità di ammalarsi, determina una settimana all’anno di inattività produttiva. Il rapporto tra le spese per la ciclabilità o la pedonalizzazione di un’area e i vantaggi sul piano sociale, economico e della salute è di 13 a 1, secondo studi condotti sul tema nell’abito del progetto inglese Sustainable travel towns. Spazi camminabili e corridoi verdi, aumentano la sociabilità, i primi ad avvantaggiarsi sono gli anziani, che tendono all’isolamento. Vari studi mettono in stretta relazione l’aumento della mortalità degli anziani con l’isolamento sociale.

La facilità di accesso a un luogo pedonale, la sua alta frequentazione, che significa la sua sorveglianza sociale, sono determinanti nell’appropriazione di un luogo. Se diamo uno sguardo fuori dall’Europa, scopriamo con grande sorpresa che a Bogotà, interventi specifici sono stati effettuati nelle periferie della città, dove più alto è il tasso di microcriminalità. La pavimentazione di spazi per i pedoni ha determinato un calo di microcriminalità nella capitale, mentre nel centro della città larghi marciapiedi, costruiti in spazi destinati ad auto in sosta, hanno restituito aree ai pedoni.

A VANCOUVER, IN CANADA, si cammina ovunque, grazie all’applicazione del principio della concertazione tra amministratori ed amministrati. Si hanno così adattamenti delle strade in favore di chi cammina, di percorsi tracciati nella natura e nella città, un continuo lavoro culturale fatto di informazione e partecipazione attiva. Ci sono reti internazionali, come Walk 21, che stimolano il dibattito culturale e gli enti locali sul tema del cammino, forti del contributo di urbanisti, antropologi, sociologi, economisti, amministratori e cittadini.

L’indice di sicurezza di un percorso camminabile è dato dal fatto che un bambino di otto anni sia in grado di percorrerlo in autonomia. In Italia i genitori, concedono ai bambini il permesso di muoversi in autonomia con un ritardo di tre o quattro anni rispetto ai paesi europei. Un aspetto negativo, che incide sull’autostima e riguarda da vicino politici, urbanisti e adulti in generale.