La raccolta delle mele è al via in questi giorni in molte regioni italiane e si protrarrà fino a fine settembre: 2,2 milioni di tonnellate la stima di produzione per il 2018 (fonte Coldiretti): un dato che evidenzia un recupero sullo scorso anno (1,7 nel 2017), ma anche un calo del 6% rispetto alla media dell’ultimo triennio. Per la stagione al via il maltempo ha influito a macchia di leopardo sulla quantità prodotta di diverse varietà, eppure sempre di più l’attenzione del mercato non si limita alla ai trend di produzione, ma alla qualità stessa del raccolto.

Se addentare una mela infatti è una tentazione fin dall’alba dell’Uomo, oggi più che mai dietro a un semplice gesto si nasconde un mondo di rischi e opportunità, da cogliere compatibilmente con un comportamento etico. L’Italia in particolare è interessata dai risvolti di sostenibilità riguardanti questo frutto tanto diffuso: il nostro Paese infatti è il quinto produttore mondiale e il terzo esportatore del Pianeta. Di questa coltura così ben radicata, il Trentino Alto Adige è di gran lunga il territorio più interessato, con una media di oltre un milione di tonnellate annue (quest’anno 1,5). Se la produzione nelle due province autonome rappresenta una percentuale che va oltre la metà del totale nazionale, la superficie non arriva ad essere la ventesima parte della Penisola e in questo meleto d’Italia solo il 5,4% è destinato all’agricoltura: le concentrazioni di campi coltivati sono elevatissime in alcuni territori come la val di Non, ben visibili all’occhio nudo del turista di transito sulle strade di fondovalle. Una produzione così massificata ha inevitabili ricadute anche sul fronte degli agenti inquinanti, in particolare per quanto riguarda i fitosanitari distribuiti ad uso agricolo e i loro residui rilevati nelle acque. Al 2017 (fonte Istat) in Trentino Alto Adige sono stati commercializzati – nel complesso della produzione agricola – fitofarmaci per 4.586 tonnellate, 300 circa in più rispetto al 2010. È questo un dato in controtendenza rispetto alla media nazionale (124 mila tonnellate nel 2017 contro le 143 mila del 2010) e già sulla base dei dati di 8 anni fa il Wwf aveva avanzato una proposta per una frutticoltura sostenibile che andasse a limitare l’utilizzo di queste sostanze. Bisogna comunque sottolineare che i dati rilevati dall’istituto statistico da soli non permettono di fare chiarezza: la ripartizione per provincia di fatto fa riferimento al prodotto venduto, cioè alle aziende che commercializzano i fitosanitari e non a quelle che effettivamente li utilizzano e che potrebbero essere dislocate altrove. Inoltre è necessario considerare anche le variazioni di utilizzo che di anno in anno risentono delle condizioni meteo stagionali (come la quantità di precipitazioni).

ULTERIORI INDICATORI che possono fornire informazioni sugli inquinanti in ambiente vengono quindi dal controllo degli agenti nelle acque. In questo senso l’Arpa di Trento monitora periodicamente lo stato di salute dei corsi d’acqua in Provincia. A marzo di quest’anno sono stati resi noti i dati relativi a ben 412 corpi idrici della provincia: tra questi, 29 corsi d’acqua hanno superato i limiti stabiliti dalla normativa europea per quanto riguarda sostanze pericolose dette prioritarie (idrocarburi, solventi, metalli pesanti e appunto i fitofarmaci che interessano le coltivazioni) e sono stati classificati quindi come non buoni in termini qualitativi. Sotto osservazione per la presenza di inquinanti ci sono anche il torrente Noce e vari altri corsi minori che interessano la valle dell’Adige e la Piana Rotaliana: territori ad alto sfruttamento agricolo, sia per la viticoltura che per i meleti. In prima istanza, le misure di tutela dell’ambiente acquatico proposte in risposta al problema sono diverse: si va dall’osservazione di una fascia di rispetto nell’utilizzo di fitosanitari nelle vicinanze dei corsi d’acqua al mantenimento dell’inerbimento dell’interfilare, al fine del contenimento del ruscellamento degli stessi fitofarmaci. Non bisogna però demonizzare la produzione agricola di questo frutto, che anzi – proprio in un territorio tradizionalmente legato alla sua coltura – ha visto per primo il bando in Italia di un prodotto come il Clorpirifos etile, e attori che a vario titolo stanno sperimentando nuove soluzioni di contrasto che vanno oltre il mero contenimento delle tecniche tradizionali.

TRA I METODI ALTERNATIVI di lotta a insetti, parassiti e funghi, la Fondazione Edmund Mach è in prima linea: «La ticchiolatura è particolarmente aggressiva sul melo – ci spiega Claudio Ioriatti, responsabile del centro di trasferimento tecnologico-. Richiede da sola il 50%-60% dei trattamenti. La risposta migliore sarebbe la resistenza genetica ma le varietà resistenti presenti per ora sul mercato non hanno grande valore commerciale. L’obiettivo in un arco temporale più ampio è costituire tipologie resistenti che sommino diverse qualità».

DAL PUNTO DI VISTA PRATICO è inoltre impensabile un’introduzione a tutto campo delle varietà resistenti: coltivarle ovunque permetterebbe al fungo di adattarsi in un tempo relativamente breve. Quindi la soluzione che si sta promuovendo attualmente prevede di localizzarle laddove ci siano corsi d’acqua e abitazioni, nelle fasce di rispetto.

Un altro strumento consiste nel mettere a punto sistemi di trattamento a punto fisso in alternativa ai tradizionali atomizzatori, che consentirebbero l’esecuzione di interventi più tempestivi, da eseguirsi al momento giusto in occasione del reale evento infettivo e non sulla base di metodi predittivi (previsioni climatiche) come si fa ora. Questo approccio consentirebbe di evitare tutti quei trattamenti ingiustificati determinati dall’errate previsioni meteo.

MA IN TRENTINO è già attiva da tempo anche la guerra sessuale agli insetti, in particolare i lepidotteri: «La distribuzione di feromoni che mirano alla confusione sessuale del maschio interessa 25mila ettari su 32mila – spiega Ioriatti – sostanzialmente tutto il territorio colpito dal verme della mela». Le tecniche da applicare in futuro potrebbero essere anche altre, come già avviene con altri insetti e altre colture. Per esempio con la biotremologia si interviene creando confusione nella comunicazione tra insetti, alterandola o disturbandola: vengono propagati messaggi aggressivi tra maschi o di rifiuto delle femmine che limitano la riproduzione. La diffusione di insetti sterili è un ulteriore metodo di contrasto.

GLI ASPETTI DA CONSIDERARE in tema di sostenibilità ambientale dell’agricoltura in generale e della coltivazione di mele in particolare sono però anche altri: l’impatto energetico di una produzione per esempio è particolarmente rilevante nel bilancio globale. In questo senso i meleti rimangono una delle colture più vantaggiose nel contesto alimentare: per produrre una mela servono 70 litri d’acqua, contro i 140 di una tazzina di caffè o gli oltre 2mila400 litri che richiede un hamburger (fonte Fao 2012). Anche in questo caso in Trentino Alto Adige l’impegno per il contenimento del dispendio energetico in fase di produzione è all’avanguardia in Europa, con un consumo di appena 0,6 MJ/kg: la metà rispetto agli Stati Uniti e quasi un quinto in confronto alla Germania (2,8 MJ/kg), nostro importante competitor nel settore.

L’ALTO ADIGE È ANCHE AI PRIMISSIMI POSTI per risparmio di CO2 immessa nell’ambiente tra produzione, post raccolta, packaging e distribuzione (0,03 kg Co2 eq/kg di mele rispetto allo 0,19 della media nazionale), un valore che si abbatte soprattutto grazie all’utilizzo di energia elettrica proveniente da fonti rinnovabili e alla conservazione in magazzino. Particolarmente interessante su questo fronte è la soluzione realizzata da Melinda, che nel 2014 ha inaugurato un deposito di stoccaggio in val di Non alla profondità di 275 metri. Con questo sistema è stato ridotto il consumo di acqua di oltre 27mila metri cubi l’anno, e la produzione di anidride carbonica di oltre 40mila kg/anno, pari a 50 ettari di bosco. Il consumo di energia elettrica è inferiore del 70% rispetto alla soluzione fuori terra e la potenza elettrica installata per alimentare gli impianti frigoriferi a servizio delle celle è ridotta dell’80%, un risparmio paragonabile al consumo di 2mila abitanti.
Se la mela insomma rimane un alimento semplice e naturale, oggi più che mai dietro a questo frutto si cela un mondo di scelte consapevoli e ricche di responsabilità, sia per il produttore che per il consumatore.