A più di tre anni di distanza dalla sua presentazione in concorso al festival di Cannes, giunge il 29 agosto anche sui nostri schermi Mademoiselle,  l’ultimo lavoro del regista sudcoreano cui si devono film assurti agli onori del culto come Old Boy e il dittico Mr. Vendetta/Lady Vendetta. Adattamento molto personale del romanzo di Sarah Waters la cui ambientazione è stata spostata nella Corea del sud degli anni Trenta all’epoca dell’occupazione giapponese, vanta una trama, come si diceva una volta, labirintica con giravolte addirittura bizantine.
Hideko, giovane, orfana e sensuale ereditiera, alle soglie della maggiore età, vive come una sepolta viva nella sontuosa abitazione dello zio, infaticabile collezionista di libri erotici il quale vuole sposarla per mettere le mani sul suo ingente patrimonio. Il parente erotomane impenitente non è l’unico però a volere impadronirsi del patrimonio della ragazza. Il conte Fujiwara, un truffatore senza scrupoli, riesce nell’impresa di fare assumere la ladra e borseggiatrice Sook-hee.

IL SUO SCOPO è di usare la complice per creare il caos erotico nella casa, sposare l’ignara Hideko per poi rinchiuderla subito dopo in manicomio. Ovviamente non tutto va come previsto dai machiavellici congiurati. Park Chan-wook dirige con gusto e un’evidente calligrafica eleganza una sciarada nerissima e amorale. Il suo gusto per le situazioni paradossali, sia in termini di violenza che di erotismo, trova nel film l’ennesima esemplificazione che se farà la gioia dei numerosi ammiratori del regista sudcoreano in altri non potrà che evocare il retrogusto di un manierismo tanto ricercato quanto inerte (cosa che Stoker aveva dichiarato in maniera incontrovertibile).

CIÒ NONOSTANTE in Mademoiselle Park Chan-wook sembra come volere ottenere una sintesi ideale fra certe atmosfere chabroliane e quelle ben più putride e decadenti di Edogawa Rampo. Park intreccia violenza, erotismo e perversioni con acribia formalista tale da depotenziare la minaccia insita nella materia. Come in versione ripulita dei classici di Teruo Ishii, Park si diverte a mettere in campo torture, seduzioni, violenze e altro ancora. Ma rispetto al modello nipponico cui il film con ogni evidenza guarda, la sua messa in scena millimetrica e calcolata in ogni suo effetto, movimento di macchina, taglio di montaggio priva la violenza e il sesso del loro effetto sorpresa. A Park Chan-wook interessa più creare dei tableaux vivant e delle geometrie piranesiane con la macchina da presa che la carne e il sangue utilizzati come materia di scambio, ricatto e violenza. E se il virtuosismo del maestro sudcoreano non fa che aumentare esponenzialmente, inevitabilmente l’interesse nei confronti dei suoi film cala un po’ (a meno che non si partecipi di questo piacere manierista). Mademoiselle è un film dai molti meriti e dalle numerose audacie formali. Ciò che paga il costo di questo fuoco d’artificio virtuosistico è l’urgenza del film. La sua necessità. Ma a volte può andare bene anche così, se ci si accontenta.