Il titolo offre due possibilità di lettura: Vecchi per niente può suonare come la negazione dell’età dei personaggi, oppure può stare a significare quello che un tempo suonava come un complemento di valore, quasi «in cambio di niente». E in questa ambiguità sta forse la chiave (insieme più amara, ma nello stesso tempo divertente) dello spettacolo che Nicola Russo ha scritto e messo in scena questa settimana al Vascello, ispirandosi a uno dei davvero grandi vecchi e maestri dei nostri anni, assieme a Bauman e a pochi altri, James Hillman. La forza del carattere è in questo caso il testo di riferimento (ma potrebbero esserci bagliori da altri suoi testi, tanto è ricco il succedersi di ricordi e situazioni da parte dei 4 maturi signori in scena), che attinge assai gustosamente al loro vissuto reale, o almeno a quello che avrebbero voluto, in un mix incatenato che fa sorridere e commuovere, addolora e consola insieme.
Vecchi per niente è infatti un flusso di memorie ed evocazioni che si succedono senza fatica mentre fanno riflettere; si potrebbe dire un defilé di stati d’animo e di episodi probabilmente vissuti, se non suonasse come un’intrusione nella biografia reale di una delle interpreti, Benedetta Barzini, che top model fu davvero nella vita, tanto da dare la densità fascinosa del suo sguardo al primo numero dell’edizione italiana di Vogue. Del resto tutti loro si raccontano senza apparenti complessi o retro pensieri. Il ricordo anzi di tante gaffes, o sbagli, o iniziative che nella vita hanno intrapreso, suona ora come il riconoscimento di una maturità, di una vita totalmente vissuta, che riscatta perfino i piccoli e progressivi limiti che la «vecchiaia», anagraficamente intesa, può comportare.

L’accettazione del proprio passato, con tutto il bene e tutto il male che ha comportato, rende quelle creature fortissime, disincantate ma solari, e ricche di una umanità che mai come ora è bello per loro spendere. Questi «vecchi» ballano e cantano, e sanno raccontare nel modo più convincente i propri momenti di vita, come l’avessero spesa innanzitutto a conquistare l’arte della narrazione. Ma qui entra la mano dell’autore, che nonostante sia certo più giovane di loro, manovra con grande sapienza scenica e rispetto assoluto, quei «materiali» tenerissimi. Dev’essere un versante privilegiato della personalità o della formazione di Nicola Russo, dapprima attore che si è rivelato autore con una operazione in qualche modo simile: quella Elettra che attingeva a una esponente illustre del varietà, per culminare nel finale proprio con l’entrata in scena di lei stessa, Elettra Romani, di cui si era raccontata la vita e l’arte.

Qui, ad ampliare, la panoramica di questa preziosa e godibile «indagine», sono due donne e due uomini (oltre alla bravissima Barzini, la scatenata Teresa Piergentili, Agostino Tazzini e Guido Tonetti) mentre a due attori più giovani (Marco Quaglia e Sara Borsarelli, che sempre con Russo era stata una struggente Nina Simone) tocca il compito di dare quadratura di parentele ad alcuni racconti. Si applaude alla fine con qualche sorriso, e con diversi quesiti in più. Mentre il mondo ricco dell’occidente e del nord irrimediabilmente accelera il proprio invecchiamento, nuovi equilibri generazionali andranno riscoperti, intessuti e coltivati.