Il 2024 si sta rivelando un’annata affascinante per l’animazione giapponese, specialmente quella distribuita nelle sale, al di là dei grandi successi commerciali legati ai franchise che spopolano al botteghino. Fra dicembre e gennaio è uscito Totto-Chan: The Little Girl at the Window e in luglio Look Back, due lavori di grande qualità, soprattutto il secondo, di cui abbiamo già scritto su queste pagine. A fine agosto poi, uscirà The Colors Within diretto della talentuosa Yamada Naoko e questo fine settimana sarà la volta di Ghost Cat Anzu, animazione realizzata col rotoscopio da Kuno Yoko e Yamashita Nobuhiro e presentata allo scorso festival di Cannes.
È in questi giorni nelle sale, un altro lungometraggio animato che in qualche modo spariglia le carte ed esonda dai limiti che di solito usiamo dare all’animazione giapponese, Mononoke the Movie: The Phantom in the Rain. Si tratta della continuazione sul grande schermo delle vicende della serie animata omonima, ma la storia è qui originale, andata in onda nel 2007 e a sua volta nata come spin-off di un’altra serie, antologica, trasmessa dalla televisione giapponese l’anno precedente. Il film, così come la serie animata, segue le vicende di un venditore di medicine durante il periodo Edo che cerca i mononoke, esseri soprannaturali e maligni che si impossessano degli esseri umani.

IN QUESTO LUNGOMETRAGGIO, l’anonimo venditore visita il castello di Edo, dove due giovani ragazze, Asa e Kame, stanno per entrare alla corte per lavorare come servitrici nella zona dove gli uomini non possono entrare. In questo microcosmo all’interno del castello, che riflette il sistema delle caste che è in funzione al di fuori, ricordiamo che siamo nel Giappone feudale, il venditore di medicine ha percepito la presenza di uno spirito malvagio e in cerca di vendetta. Quando questo mononoke si annuncia, il venditore decide di entrare, con la forza, all’interno del castello e di cominciare a cercarlo insieme all’aiuto delle due ragazze e della sua spada magica.
Il film è diretto e co-sceneggiato da Nakamura Kenji, che era regista anche della serie originale, è stato prodotto dallo Studio Eota ed è il primo di una trilogia che dovrebbe avere il suo secondo capitolo in uscita il prossimo anno. Le tematiche affrontate spaziano dal soprannaturale alla tradizione folklorica dell’arcipelago, fino a toccare l’orrore. Ma dove il lungometraggio scardina certi modi di fare animazione nel Sol Levante è nel suo approccio visivo, un turbinio di colori sgargianti e forme tradizionali senza freno che sovraccaricano lo spettatore.

L’ANIMAZIONE è creata come se fosse disegnata su una carta di tipo washi, la carta tradizionale giapponese che mantiene alcune venature, inoltre ogni segmento in cui si dividono le vicende raccontate è chiuso e aperto da due porte scorrevoli giapponesi che «chiudono» e «aprono» lo schermo. L’effetto disorientante delle immagini è ottenuto sia dalle architetture presenti nella narrazione, dove gli spazi in alcuni momenti sembrano assumere quasi una qualità escheriana, sia dallo stile e dai colori adoperati. Si tratta di uno stile infatti che mischia la pittura tradizionale nipponica del periodo con alcuni tocchi quasi da Art Decò dove i colori sono però sgargianti. Ma se la visione di Mononoke the Movie:The Phantom in the Rain è come un’immersione in una vasca di acido lisergico per gli occhi, lo so deve soprattutto al delirante e frenetico montaggio usato, che rende sì la visione difficile e crea un sovraccarico d’informazioni, ma che allo stesso tempo rende il film un’esperienza visiva abbastanza unica.

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