L’immaginario di Mahmood – mamma sarda, papà egiziano, mood meneghino – è quanto mai vario e questo secondo album – in mezzo una miriade di singoli e soprattutto quella Soldi che nel 2019 lo ha imposto a sorpresa a Sanremo e poi in tutta Europa, è lì a testimoniarlo. Nel suo Ghettolimpo – il titolo del disco da oggi nei negozi fisici e virtuali – non troviamo personaggi onnipotenti appartenenti a un luogo irraggiungibile, ma semplici persone che cercano di dare un senso alla propria vita. «Nessuno è immortale e nessuno è un semplice umano», spiega Mahmood, ma si ritrovano entità con un’anima comune tesi a fronteggiare da un lato l’inarrivabile e dall’altro la realtà più cruda e quotidiana.

UN PROGETTO che ha iniziato a formarsi subito dopo la vittoria a Sanremo e si è completato poco tempo prima della pandemia: «Perché proprio non ce la facevo a comporre, per farlo ho bisogno di vedere gente, conoscere nuovi posti». Album ricco musicalmente nel solco dello urban un po’ stiloso ma affatto scontato, tanti produttori come Muut, Drd, Francesco Fugazza.
«L’idea mitologica da cui trae spunto il disco – spiega Mahmood – è una passione che mi porto dietro dall’infanzia: un dizionario mitologico che mi divertivo a sfogliare da bambino. Ho così pensato all’ade, agli inferi ed è nato il neologismo che lo intitola. E se il precedente era legato alla famiglia, alle mie origini, queste nuove canzoni parlano della mia vita dopo il festival. La melodia che si sente nell’introduzione è ispirata alle cinque preghiere che mi svegliavano la mattina nelle visite con mio padre in Egitto – avevo otto e dodici anni». Personalità complessa, Mahmood si racconta nel Narciso in copertina e nel testo della title track: «Dove canto ’del mio Narciso è rimasto solo il sorriso più brutto’. Mi guardavo nello specchio e non mi piacevo».

IN UN DEDALO di ritmi e sonorità elettroniche, T’amo è una elaboratissima ballata dedicata alla madre, dove ha coinvolto un coro femminile di Orosei, gli Intrempas. Due collaborazioni di spessore: Elisa lo affianca in Rubini: «Con Elisa tratto di un tema legato all’adolescenza dove ti senti sempre fuori posto, anche nelle relazioni amorose. Canto ‘cerchi solo un brivido e trovi solo un livido’ pensi che siano amici e poi non si rivelano tali». Karma lo vede insieme a Woodkid: «Volevo mettermi alla prova e sono andato a trovarlo a Parigi, gli ho fatto ascoltare il provino solo piano e voce, mi ha dato subito dei consigli quando poi sono passato alla produzione. È stato un po’ difficile perché non ho mai scritto in inglese».

IL RAPPORTO con il divino di Mahmood, cattolico e di origini musulmane, è pervaso di dubbi: «Ho scelto volutamente testi dove non emergesse il tema religioso, piuttosto una preghiera laica. In Ghettolimpo dico ‘se pregherai da solo fuori da una chiesa saprai che il cielo guarda solo chi merita». Libertà e rispetto, ci si sofferma sulla difficile gestazione del decreto Zan: che paese è quello che ha bisogno di una legge per difendere i diritti umani di chiunque, siamo realmente così barbari?: «Forse anche peggio, quello che succede in tutte le città, quanto è successo a Palermo con due giovani assaliti da un gruppo di ragazzini è indicibile. Non dobbiamo fare accadere fatti di questo tipo per farlo approvare». Nello stile codificato della scena urban, la bella vocalità di Mahmood potrebbe evitare l’abuso di autotune…: «In realtà l’utilizzo che ne faccio io non è a livello muscolare ma stilistico. In certi pezzi l’autotune valorizza la melodia di una canzone, ad esempio in Talata ho messo delle parti con l’autotune perché mi servivano delle note che solo così riuscivo a creare. Un paradosso? A me piace delle volte sentire la mia voce stonare…».