In questi ultimi anni i materiali dell’Istituto Luce hanno ripreso nuova vita attraverso una serie di documentari, rielaborazioni poetiche, accurate ricostruzioni. Fango e gloria di Leonardo Tiberi è il primo film che arriva nelle sale come film di guerra. Nel Centenario della prima guerra mondiale (e dei 90 anni dell’Istituto Luce) è stato realizzato lavorando sulla composizione di parti recitate e filmati d’epoca, senza soluzione di continuità per l’effetto di colorizzazione del materiale in bianco e nero con un procedimento simile alle bicromie di inizio secolo, da un gruppo di venti colorist coordinati da Marco Kuveiller e la fotografia di Stefano Paradiso (Red in 4K) che ne accompagna la scelta cromatica.

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L’effetto è di una certa lontananza delle parti recitate, dove gli attori protagonisti si immergono nei filmati d’epoca, mentre emergono in primo piano quelle figure sconosciute di fanti riprese lungo le trincee.
Si sa bene quanto fosse impossibile riprendere le azioni di guerra e quante di queste siano state simulate (per ristudiare tutto quanto si può sapere a proposito di cinema e Grande Guerra fare riferimento a Le ceneri del passato di Giuseppe Ghigi, Rubettino), ma colpiscono assai di più le scene di «transito», gli scherzi e i sorrisi di quella gioventù mandata al massacro nella guerra di trincea.

Queste scene assumono qui un vigore straordinario, non solo per il colore, e il lavoro di restauro che li ha ripuliti da ogni graffio e macchia e ha dato ai filmati il giusto ritmo, ma per come sono state scelte dagli archivi in modo che avessero una resa analoga al recitato: in qualche modo riprendono vita, attorno al rancio, alle lettere arrivate da casa, in trincea. Guardiamo in faccia non degli attori, ma i nostri nonni molti dei quali del secolo delle meraviglie avrebbero visto ben poco.

Si mettono in scena due protagonisti, due amici di un paese non ben identificato della riviera romagnola con il suo bel canale provvisto di bragozzi e pescatori, due studenti di giurisprudenza in attesa di iniziare la vita, chiamati improvvisamente alla guerra. Mario diventa ufficiale di complemento mandato ad attraversare l’Isonzo, Emilio in marina sui treni armati per difendere le coste adriatiche. Così scrive all’amico in una lettera che probabilmente non sarebbe passata alla censura per le tante indicazioni strategiche che contiene.

Ma non è questo l’unico anacronismo che si può cogliere, scusabile forse da un punto di vista didattico per raccontare il più possibile di stati d’animo mai portati alla luce. Primo fra tutti quel disappunto di dover entrare in guerra, quando invece l’Italia fu all’epoca percorsa da grandi manifestazioni di universitari ansiosi di combattere.