È un giorno come un altro negli 83 anni di Woody Allen. Piove e siamo a New York. O meglio in un suo avatar che Allen ottiene cucendo insieme angoli di Central Park, del Lower East Side e del Village, una sorta di città immaginaria nella città reale, che grazie al suo cinema abitiamo da circa cinquanta film, al modico prezzo d’un biglietto d’ingresso e dalla quale Allen, e noi con lui, si concede ogni tanto brevi vacanze, più o meno riuscite, in altri luoghi inesistenti chiamati Los Angeles, Roma, Parigi o Venezia. Di quest’isola alleniana abbiamo imparato a riconoscere gli scorci e a conoscere gli abitanti, che a dire il vero non sono molti. C’è la ninfetta tutto pepe ma un po’ svampita (di solito bionda). C’è l’artista torturato, alcolizzato e infantile, sempre in cerca di un’amante pronta a farle da madre, se possibile tra i venti e i ventidue anni (vedi la ninfetta di cui sopra). Poi c’è l’amico, che tradisce, o che è tradito, o entrambe le cose. C’è la seconda donna (di solito bruna). Quella che prima si odia e poi si desidera e in qualche caso si sposa.

ORA, OGNI GIOCATORE sa che, anche con poche carte in tavola, si possono giocare un numero infinito di partite, sempre diverse, e in fondo sempre uguali. Ad Allen di certo non è mai venuto in mente di cambiare gioco, e ancor meno di smettere di giocare. Nonostante l’età. Nonostante di recente siano riemerse delle accuse che la giustizia non ha ritenuto consistenti ma che, passate alla centrifuga del movimento #metoo, hanno convinto il dipartimento produzione di Amazon a rompere il contratto che aveva con Allen e alcuni degli attori del cast a prendere pubblicamente le distanze dal film, cedendo il proprio salario a delle associazioni caritatevoli e affermando di non voler più lavorare con Allen (e rimanendo in tal modo in ottimi rapporti con Amazon). Allen ha accusato il colpo, iniziato un procedimento giudiziario, e ricominciato subito a giocare la sua infinita partita, su un altro tavolo.

https://youtu.be/X-Sh6JFAyLo

MA QUAL’È la posta di Un giorno di pioggia a New York? (uscita italiana posticipata al 28 novembre). In breve si tratta di convincere un avatar (giovanissimo) di Allen (l’attore Timothée Chalamet, tra i dissociati insieme a Griffin Newman) ad imparare ad essere se stesso. Il ragazzo è il rampollo di una famiglia facoltosa e altolocata. Una madre matrona lo spinge da subito ad eccellere nelle arti. Ma è questa la sua via? Il ragazzo non lo sa. Si è iscritto, senza convinzione, ad un college fuori città. Eccelle in quasi tutto. Sa suonare il pianoforte. Ha delle idee precise e originali sul cinema, sulla letteratura, sulla filosofia. Ma è proprio questo aver tutto facilmente che gli ha tolto ogni appetito per la vita. L’unica cosa che lo stimola è il poker, nel quale ovviamente sbaraglia tutti gli avversari proprio perché non gli importa di vincere. Il film comincia quando questo giocatore intellettuale, di nome Gatsby Welles, decide di passare con una studentessa di cui è innamorato un week end romantico a New York.

OVVIAMENTE i due si dividono subito e si ritrovano solo alla fine del giorno (che come è noto comprende anche la notte). Per Woody Allen è l’occasione di esplorare, con due occhi diversi, due lati opposti del proprio immaginario. Da un lato la New York dei «top hat», ovvero delle commedie sofisticate alla Ernest Lubitsch, fatte d’una materia talmente eterea che che solo i passi di Fred Astaire o il sorriso di Cary Grant sembrano poterle abitare e che paradossalmente invitano ogni spettatore, nessuno escluso, a venire a ballare, a bere una coppa di champagne, a festeggiare fino a tarda notte all’ultimo piano di un hotel con vista sul Central Park.

E dall’altro un’altra New York, tutt’affatto opposta, fatta di vincitori e di vinti. E di un’altra comicità: quella pesante, greve, selvaggia di Billy Wilder, animata da vecchi lussuriosi inzuppati di alcol, prostitute, papponi e ruffiani, giocatori di poker e travestiti. Nella pioggerella newyorkese, Woody Allen accoglie questi mondi opposti e li riconcilia nella pelle dei propri eroi. In Gasby Welles ovviamente, ma anche nel personaggio di Ashleigh Enright (Ellen Fanning), la quale in apparenza ha l’entusiasmo e il candore delle dive di Via col vento. Ma quando si ritrova a tu per tu con la star Francisco Vega (Diego Luna), e si mette a ragionare tra sé e sé se sia giusto o meno andare a letto con lui, fa riemergere il tranquillo utilitarismo dei personaggi di Baciami, Stupido.

LE SCENE più riuscite del film sono proprio quelle in cui la sofisticatezza e la trivialità, la leggerezza e la pesantezza, la poesia e la prosa, appaiono l’uno come la porta d’uscita dell’altro, o ancora di più: come le parti di un’unica porta girevole, d’un carosello sul quale i personaggi giocano a rincorrersi… da circa cinquant’anni. Senza stancarsi di girare.