Resterà davvero un «caso» nella memoria teatrale europea: dopo una decina d’anni è tornato in scena Gardenia, il «musical» che Alain Platel (uno dei pochi veri grandi maestri della scena contemporanea) con Frank Van Laecke aveva realizzato una dozzina di anni fa, e che ora ha ripreso con gli stessi interpreti di allora. Che erano già a quel tempo tutti signori di una certa età, felici di esibirsi en travesti, per dar vita a quel caffé-concerto che dà il titolo allo spettacolo, tra virtuosismo, coraggio, e una grande voglia di vivere, divertirsi, ed esibirsi. A cominciare dalla propria sessualità. Perché lo spettacolo è fatto dai loro numeri rutilanti, dalle canzoni cantate con passionale sentimento, e la determinazione a scoprire luci e ombre di una condizione, che non solo accettano, ma esibiscono con una spudorata felicità.

ERA STATO BELLO, fino alla commozione, vederli dieci anni fa indossare rutilanti abiti femminili e cantare e danzare con passione, farsi gli scherzi, e anche qualche dispettuccio, senza dover ipocritamente nascondere la loro condizione e le proprie scelte sessuali. Era stato su proposta di Vanessa Van Durme che Alain Platel aveva accettato di creare lo spettacolo. Lui del resto, che per formazione sarebbe stato un logopedista, dalla sua esperienza con i bambini (e dalla scoperta dell’importanza per loro della danza e della recitazione nel recupero dai loro problemi) ha sempre amato le sfide, ampliando coreograficamente la propria attività, dalla città belga di Gand, e con l’appoggio dei Ballets C de la B. Ma sempre partendo da situazioni di marginalità: non a caso una delle sue prime affermazioni internazionali avvenne con Bernadetje, storia di rombanti passioni nella emarginazione di un gruppo di giostrai. Le sue «indagini», sempre emozionanti nella loro intima «spettacolarità», da allora si sono allargate dentro e fuori la psiche di creature più o meno ai margini: la scoperta da parte di un suonatore di una banda della propria morte imminente, l’agonia di una donna gravemente malata, o anche avviluppanti matasse esistenziali come controcanto sonoro e visivo a immortali musiche barocche.

LA SUA MATURAZIONE, artistica e umana, è culminata in questa divertente quanto malinconica scorribanda dentro il Gardenia, botola delle meraviglie dove identità, umori, doti artistiche e spiritaccio consapevole danno la foto struggente di un mondo, sotterraneo quanto vitale. E che a pieno titolo reclama di mostrarsi, facendo arte dei propri numeri come delle immancabili gaffe e papere. E anche stecche vocali. Senza pudori né ipocrisie. Solo con un grande piacere (e soddisfazione) nel mostrarsi, debolezze comprese. Che è anche, nella sua consapevole comicità, un bel traguardo civile.
Annunciano gli stessi interpreti, all’alzarsi del sipario, che qualcuno di loro non c’è più rispetto alla prima edizione. Ma che hanno deciso di riprendere lo spettacolo, quasi una dedica agli antichi compagni. Per precipitarsi poi immediatamente ad avvolgersi nei loro falpalà multicolori, e riprendere il loro gioco di specchi. Mentre il loro autore Platel, purtroppo, si prende una pausa di riposo, e si fa attendere dagli spettatori che reclamerebbero una sua nuova creazione.

Le sue «indagini», sempre emozionanti nella loro intima «spettacolarità», da allora si sono allargate dentro e fuori la psiche di creature più o meno ai margin

FORTUNATAMENTE, prima della recita al teatro Ariosto, è stato possibile assistere al documentario Alain Platel L’umanità in primo piano, un filmato (prodotto da Classica tv) ricco e istruttivo condotto da Francesca Pedroni, dedicato allo spettacolo e al suo autore, che rimane testimonianaza viva: una carrellata affettuosa e rivelatrice sul lavoro di un artista di prima grandezza e sulla sua irresistibile compagnia di giro.
L’unica vera nota malinconica veniva dal cartellone: quella di Reggio Emilia nell’ambito del Festival Aperto, è stata proprio l’ultima tappa della tournée della compagnia. Non resta che augurarsi che Gardenia possa riaprire ancora i suoi sognanti battenti multicolori.