Renzo Martinelli è un regista che ama far parlare di sé, «provocare», narcisismo autorizzato negli artisti (e non solo) per carità, specie nell’era dei selfie e degli instagram sul banale quotidiano pure se l’arte, forse, è qualcosa che la realtà dovrebbe «reinventarla» con occhio prismatico. Ma non è questo il punto. Il punto nel suo caso, parlando di un regista, sono i film.

 

 

 

 

A ciascun  titolo Martinelli promette verità e rivelazioni sui grandi misteri della nostra storia, quei buchi neri che punteggiano l’Italia con le conseguenze che sappiamo: le stragi, i silenzi, le omissioni di stato, le complicità omertose, le verità distorte (dal rapimento e delitto Moro al Vajont nella sua filmografia) ma in questa sua bramosia di rivelazioni rimanere sempre intrappolato. È un po’ il problema di chi puntando solo sulla «macchinazione» finisce per mettere la realtà che vuole illuminare sullo sfondo. E soprattutto opacizza il cinema e le sue infinite possibilità di impatto sulla cosiddetta storia ufficiale.

 

 

Ustica, il nuovo film del regista, ripercorre come ci dice il titolo la vicenda del Dc9 dell’Itavia precipitato misteriosamente a largo dell’isola siciliana il 27 giugno del 1980. Ottantuno morti, coi familiari delle vittime che ancora oggi, dopo 35 anni, molte inchieste, commissioni parlamentari, perizie, processi, sentenze, depistaggi, morti sospette di testimoni aspettano una risposta di verità. Martinelli sposa la «quarta ipoetsi», cioè che quella sera vi sia stata una collisione in volo tra un caccia F5E dell’aviazione americano e il Dc9 italiano. Il caccia Usa, assieme ad un velivolo omologo, stava inseguendo un Mig libico nascosto a poche centinaia di metri sulla scia dell’aereo civile. La politica italiana affosserà per opportunismo. Negli anni si è parlato anche di un cedimento strutturale, di una bomba nascosta nelle toilette dell’aereo – tesi poi smentita dai rilevamenti – e nel 2007, Cossiga, che all’epoca della strage di Ustica era presidente del consiglio aveva dichiarato che la responsabilità era stata di un missile francese destinato a abbattere un velivolo su cui si trovava Gheddafi.

 

 

Che il cinema sia strumento politico e civile, di coscienza e risonanza per storie note eppure dimenticate è senza dubbio una parte importante della sua natura – sulla strage di Ustica ricordiamo Il muro di gomma di Marco Risi, sceneggiatura di Andrea Purgatori – ma non giustifica un brutto film. Perché questo è Ustica, enfatico, fracassone, recitato malissimo, quasi peggio di una pessima fiction tv italiana, a cominciare dalle prime scene, montaggio incrociato tra il Mig libico, la bimba che salirà sul Dc9, la mamma di lei in Calabria. I personaggi sono rivisti drammaturgicamente in una linea narrativa anch’essa a effetto – la madre della bimba morta sul volo (Caterina Murino) è una giornalista e il padre (Enrico Lo Verso) un boss della ’ndrangheta calabrese. Però per dirci «guardate è tutto vero» Martinelli monta immagini di repertorio, i familiari delle vittime in lacrime all’obitorio di Palermo, i tg dell’epoca.

 

 

Chiaramente la convinzione che il soggetto basti da sé – il regista ha detto di avere lavorato sulle cinquemila pagine dell’istruttoria del giudice Rosario Priore – è alla base del suo modo pensare le immagini. Ma questa cosa non può funzionare, non funziona mai, e anzi a quanto si vuole proteggere – mancando un punto di vista proprio che non può essere solo «io sto dicendo la verità» – finisce per nuocere cancellando forza, ragionamento, pensiero, dubbi, domande che sono indispensabili.