Divieto di sciopero. Almeno per il 16 dicembre, data nella quale Cgil e Uil hanno proclamato la sospensione generale del lavoro. Almeno secondo l’Authority per gli scioperi, il cui presidente garante Giuseppe Santoro Passarelli ha spedito una missiva alle segreterie delle due confederazioni intimando di «riprogrammare» lo sciopero generale, con tempestiva comunicazione da inviarsi entro 5 giorni. Ma il 16 proprio non si può fare. Troppi scioperi si sono assiepati in quei giorni e viene così a essere violato il principio della «rarefazione oggettiva». E non basta. Non è rispettato neppure il «periodo di franchigia» per i servizi di igiene ambientale e per i servizi alla collettività, c’è persino una violazione del regolamento postale perché proprio in quei giorni va pagata la rata Imu. Questo sciopero non s’ha da fare.

CGIL E UIL NON SI PIEGANO. Scelgono di confermare lo sciopero escludendo però i servizi ambientali, che in base agli accordi nazionali non possono essere fermati dal 15 dicembre, e le poste, per rispettare la franchigia per l’Imu. Il mancato rispetto della «rarefazione oggettiva» invece non viene considerato, anche perché lo sciopero dei servizi ambientali del 13 è stato revocato. La replica congiunta alla lettera del garante è laconica. Cgil e Uil annunciano che «procederanno garantendo il pieno rispetto delle norme che regolamentano il diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali».

I sindacati subodorano lo sgambetto, il colpo basso. Si potrebbe dire che se la sono voluta, avendo firmato l’assurda «regolamentazione» del diritto di sciopero per mettere fuori gioco i sindacati autonomi e si sa come vanno a finire le cose in questi casi. Ma tant’è: la scelta di confermare la mobilitazione è la sola risposta possibile a quello che si configura come un vero tentativo di limitare il diritto di sciopero, sull’onda della levata di scudi che da tre giorni tratta l’iniziativa sindacale più o meno come una «irresponsabile» manifestazione No Vax.

ANCHE IL GOVERNO ha risposto implicitamente, cercando di dosare bastone e carota, inflessibilità e mano tesa. Draghi ha deciso di accelerare i tempi, varando immediatamente, senza modifiche e senza riconvocare i leader sindacali, il decreto fiscale. Una risposta «a muso duro» alla quale però il governo affianca un intervento non soltanto di facciata sul caro bollette. Lo stesso consiglio dei ministri che ha licenziato il decreto fiscale ha anche aumentato di un miliardo tondo il fondo per calmierare l’impennata del prezzo dell’energia. Se si pensa che il «contributo di solidarietà» affossato da Lega, Forza Italia e Iv avrebbe fruttato poche centinaia di milioni, si evince chiaramente il peso della decisione, che porta a 3,8 miliardi il fondo contro il caro bollette, molto vicino ai 4 miliardi reclamati sin dall’inizio dalla Lega.

È la ministra Gelmini a collegare il nuovo stanziamento per il caro bollette allo sciopero: «È uno sforzo senza precedenti. La manovra migliora ulteriormente ed è ancora più difficile comprendere le ragioni dello sciopero. Speriamo che senso di responsabilità e ragionevolezza prevalgano». Tra le quali ragioni, peraltro, si potrebbe annoverare il particolare per cui se non ci fosse stato lo sciopero ad incalzare gli assopiti partiti della maggioranza e il governo quel miliardo in più non sarebbe spuntato dal cilindro del ministro dell’Economia Franco.

IL SINDACATO NON si accontenta. «Il governo dovrebbe spostare tutti gli 8 miliardi della riforma fiscale a favore di lavoratori e pensionati, dovrebbe aumentare il netto in busta paga per salari e pensioni basse fino a 30mila euro, cancellare la precarietà». Non è la piattaforma rivendicativa di uno sciopero ma la richiesta di mettere in campo un progetto strategico. Lo scontro è con il governo, che ha scelto di non scegliere e così facendo ha scontentato sia i sindacati, Cisl inclusa come ricorda lo stesso segretario generale della Cgil Maurizio Landini, sia Confindustria.

Ma è anche contro un Pd che si trincera dietro la reticenza, con il segretario Enrico Letta che ritrova la favella dopo giorni afoni solo per dire che lui lo sciopero proprio non se l’aspettava e glissa sul fatto che di segnali tali da far anche solo sperare in una svolta nella politica economica e sociale quella manovra che doveva avere «portata storica» purtroppo è del tutto priva.