Per Domenico Creazzo era stato un Capodanno di lavoro. Una giornata intensa e impegnativa. All’inaugurazione del circolo di Fratelli d’Italia di S.Eufemia d’Aspromonte, paesone alle pendici del massiccio, di cui Creazzo è sindaco al secondo mandato, doveva spiegare agli elettori perché lui, consigliere regionale Pd e presidente del Parco nazionale dell’Aspromonte, si ricandidava nelle liste di Giorgia Meloni alle regionali del 20 gennaio. Il passaggio da fratello dem a fratello d’Italia, Creazzo lo spiegava così: «Nel mio agire amministrativo ho a cuore un solo obiettivo, quello di risolvere i problemi del nostro territorio.

Questo non appartiene né alla sensibilità di sinistra, né a quella di destra. Guardandoci intorno ci rendiamo conto che siamo così tanto indietro che serve una capacità amministrativa di non poco conto e soprattutto serve spirito di servizio concreto nei confronti dei cittadini. Credo innanzitutto nelle istituzioni e se queste non sono in grado di dare nulla ai cittadini in termini di sviluppo significa che abbiamo preso la direzione sbagliata».

Belle parole, buone per tutte le stagioni. In realtà, la direzione giusta per Creazzo era una sola: quella del clan Alvaro, signoria ‘ndranghetista di Sinopoli, con ramificazioni a Sant’Eufemia, San Procopio e Delianuova. Nel coltivare (e realizzare) il sogno di candidarsi (e vincere) le regionali, lui, infatti, si sarebbe rivolto alla ‘ndrangheta. Il terminale di scambio politico-mafioso sarebbe stato Mimmo Laurendi, elemento apicale della cosca. A lui avrebbe bussato Antonino Creazzo, fratello del consigliere, per procacciargli voti, «in cambio di favori ed utilità al fine di sbaragliare gli avversari politici».

Alla fine, il sogno di Creazzo è divenuto realtà: 8 mila preferenze e un seggio assicurato a palazzo Campanella. Ma nelle sede del consiglio Creazzo non potrà entrarci nella prima seduta del 9 marzo. Ieri mattina all’alba è stato svegliato dagli agenti della Mobile reggina e del commissariato di Palmi. Su richiesta della procura antimafia guidata da Giovanni Bombardieri, e per ordine del tribunale, a Creazzo è stata notificata un‘ordinanza di custodia ai domiciliari. Stessa sorte per altri 65, accusati a vario titolo di associazione mafiosa, di reati in materia di armi e di sostanze stupefacenti, estorsioni, favoreggiamento reale, violenza privata, violazioni in materia elettorale, aggravati dal ricorso al metodo mafioso e dalla finalità di aver agevolato la ‘ndrangheta, nonché di scambio elettorale politico mafioso. Tra i legami con la politica è emerso anche il rapporto con il senatore Marco Siclari (Fi), per il quale la Dda ha chiesto l’autorizzazione a procedere all’arresto.

L’ipotesi di reato è scambio elettorale politico-mafioso. Siclari fu eletto al Senato nel collegio uninominale Calabria 4 con il 39,59%, riuscendo ad ottenere a Sant’Eufemia d’Aspromonte 782 voti, mentre nel regno degli Alvaro di Sinopoli, ben 435 preferenze. Tra gli altri politici arrestati, spiccano il vicesindaco di Sant’Eufemia, Cosimo Idà, in manette come elemento di vertice del clan, il presidente del consiglio comunale Angelo Alati, considerato il “mastro di giornata” della cosca, il responsabile dell’ufficio tecnico, Mimì Luppino e Domenico «Dominique» Forgione, consigliere comunale di minoranza. Lui aveva il compito di monitorare appalti e lavori per agevolare l’infiltrazione delle imprese legate alla cosca eufemiese. A queste latitudini il virus della malapolitica è sempre più contagioso.