A Piacenza il «volto pulito» della cosca dei Grande Aracri, nata in Calabria a Cutro ma attiva lungo la via Emilia da 40 anni, si chiamava Giuseppe Caruso. Dipendente dell’agenzia delle Dogane, era lui a pianificare le attività del gruppo criminale con i vertici del clan.

A dirlo le 250 pagine di ordinanza in cui, assieme ad altri undici, viene accusato di associazione mafiosa. «Io ho mille amicizie da tutte le parti, bancari, oleifici, industriali, quindi io so dove bussare», assicurava nel settembre 2015 intercettato dagli investigatori. Due anni dopo sarebbe diventato anche presidente del Consiglio comunale di Piacenza con Fratelli d’Italia, partito che in quella città è di governo. Caruso è tra i sedici arrestati nell’operazione «Grimilde» della Polizia, coordinata dalla Dda di Bologna. In cella anche il boss Francesco Grande Aracri e i figli Salvatore e Paolo. Capitale della famiglia ’ndranghetista era Brescello, paesino del reggiano già sciolto per mafia due anni fa. Da lì i tentacoli criminali si radicavano in tutta l’Emilia-Romagna e in parte della Lombardia.

A DESCRIVERE LA SITUAZIONE in Emilia erano già state le sentenze del 2018 del processo Aemilia, che avevano documentato il radicamento della criminalità organizzata. Ora, dopo quel processo, arriva una nuova operazione che ne è in parte la continuazione. Sono state 16 le misure cautelari ottenute dal pm della Dda Beatrice Ronchi, 13 in carcere e 3 ai domiciliari. A 12 persone è contestata l’associazione mafiosa, altri reati sono estorsione, violenza privata, intermediazione illecita di lavoratori. Gli indagati sono 64 in tutta Italia, 300 gli agenti impegnati, oltre a milioni di euro di beni sequestrati ad una famiglia ’ndranghetista che da anni tesse una tela di relazioni economiche e imprenditoriali grazie a prestanome e intestazioni fittizie. Quando non basta arrivano le intimidazioni e le minacce.

NELL’OPERAZIONE GRIMILDE ha un ruolo centrale la vicenda della Riso Roncaia, storica azienda mantovana che per uscire da problemi economici ha chiesto aiuto ai Grande Aracri attraverso un intermediario. Il primo contatto avviene durante un aperitivo nella fiera di Parma Cibus, evento di riferimento per il settore agroalimentare. Da quel momento la «famiglia» si adopera per risolvere i problemi della risiera, millanta conoscenze di altissimo livello in Unicredit, produce documenti falsi, organizza incontri, si accorda con altri gruppi ’ndranghetisti (i Chindamo/Ferrentino) quando attorno all’azienda nasce un contenzioso. Ma sopratutto inizia a estorcere soldi alla stessa risiera. Protagonisti, oltre ai Grandi Aracri e ai loro uomini, i due Caruso; Giuseppe il futuro presidente del consiglio comunale di Piacenza, e il fratello Albino, suo contatto operativo con la cosca. «Mio fratello è un libero professionista e può fare quel cazzo che vuole», dice Giuseppe, che preferisce non chiamare mai direttamente i Grande Aracri per timore di essere intercettato. Quando però si trattava per risolvere questioni importanti, ad esempio quando un’altra famiglia ’ndranghetista minacciava la risiera, è lui a darsi da fare. «Ma tu sai che c’è dietro questa azienda? (la Riso Roncaia, ndr)», dice ad un rivale. «Qua non si muove niente». Oppure «ti tagliano la testa». Era il 10 luglio del 2015. Dopo l’arresto con l’accusa di associazione mafiosa Caruso è stato espulso da Fratelli d’Italia direttamente da Giorgia Meloni. Ma l’imbarazzo è grande.

CARUSO ERA UNA COLONNA di FdI a Piacenza. Consigliere comunale dal 2002 al 2012 per Alleanza Nazionale, è rientrato in consiglio cinque anni dopo e ne è stato subito eletto presidente in quanto uomo di equilibrio politico tra le forze che sostengono la giunta dell’attuale sindaco Patrizia Barbieri, e quindi oltre a FdI anche Lega e Forza Italia. Nel 2018 Caruso si è anche fatto vedere ad Atreju, kermesse romana di FdI, con tanto di foto che lo mostrano sorridente accanto ad un big del partito come Guido Crosetto. Per la città di Piacenza ora le conseguenze potrebbero essere serie. I 5 Stelle – tra loro anche l’eurodeputata Sabrina Pignedoli – chiedono di avviare la procedura che potrebbe portare all’eventuale scioglimento dell’amministrazione, che si dice totalmente estranea. Il Pd, all’opposizione, chiede un consiglio straordinario, per escludere ogni condizionamento sull’ente.