Il Consiglio di sicurezza dell’Onu ha discusso ieri sera il progetto di risoluzione di «protezione dei civili» presentato dalla Gran Bretagna, per ottenere un’autorizzazione all’intervento sulla base del capitolo VII della Carta delle Nazioni unite. Solo una riunione informale tra ambasciatori dei 5 membri permanenti, iniziata ieri sera, voluta dagli occidentali mentre per la Russia è «inopportuno» discutere prima di avere i risultati della missione Onu sul terreno. La Cina minaccia anch’essa il veto. Londra ha fretta, mentre in molte capitali ieri è stata la giornata dei dubbi. David Cameron ha convocato d’urgenza il parlamento per oggi: «Abbiamo sempre detto che vogliamo che il Consiglio di sicurezza sia all’altezza delle proprie responsabilità, la Gran Bretagna ha redatto una risoluzione di condanna dell’attacco chimico da parte di Assad che autorizza le misure necessarie per proteggere i civili».

Dall’Onu è arrivata ieri la prima conferma sull’uso di armi chimiche in Siria. L’inviato dell’Onu e della Lega araba, Lakhdar Brahimi, ha parlato di «sostanze», ma ha invitato alla prudenza nella reazione: «Per la legge internazionale l’azione militare può venire intrapresa dopo la decisione del Consiglio di sicurezza». Il segretario generale, Ban Ki-moon, che ha invitato l’Onu a «lavorare per la pace», ha chiesto ieri «4 giorni» per permettere alla missione in Siria di finire il suo lavoro sul campo. «Poi gli esperti dovranno effettuare le analisi scientifiche, poi dovremo fare un rapporto al Consiglio di sicurezza».

François Hollande, che martedì ha affermato di essere deciso a «punire» il regime siriano, prende tempo. Ieri all’Eliseo c’è stato un consiglio difesa, con la presenza di 14 alti responsabili. Il ministro degli esteri Laurent Fabius ha precisato che ci sono «diverse ipotesi alo studio, sia sul piano diplomatico che su quello della difesa». Tra «indignazione legittima e riflessione», Hollande prenderà «nei prossimi giorni la decisione opportuna». Il parlamento francese è convocato in «sessione straordinaria» mercoledì 4 settembre. Oggi Hollande riceve all’Eliseo il presidente della Coalizione nazionale siriana, Ahmad al-Jarba.

Aumenta intanto il numero di paesi che esprimono dubbi sulla precipitazione degli eventi, senza il via libera dell’Onu. L’Italia continua a proporre di privilegiare la soluzione diplomatica. Emma Bonino, che oggi incontra Fabius a Parigi, ha affermato ieri che anche in caso di via libera dell’Onu, l’appoggio dell’Italia «non è automatico». «Non credo che esistano soluzioni militari alla questione siriana – ha detto la ministra degli esteri – la soluzione diplomatica è l’unica strada da seguire». Anche la Grecia, che è in prima linea a causa delle basi e della situazione geografica, ha perorato la soluzione politica. «L’interesse della Grecia è la stabilità della Siria» ha detto il ministro degli esteri, Dimitris Kurkulas. La Polonia esclude la partecipazione. «Non sono convinto che l’attacco possa fermare i crimini» ha affermato il primo ministro Donald Tusk. La Norvegia ha messo in guardia contro un’azione unilaterale occidentale. «Sono profondamente preoccupato dai segnali inviati a favore del ricorso alla forza senza il via libera dell’Onu» ha affermato il ministro degli esteri Espen Barth Eide, che ha sottolineato il doppio rischio di «dare false speranze alla popolazione siriana» e di «metterci in un’impresa inestricabile».

Il Belgio ha chiesto ieri che vengano rese note le «prove» dell’attacco chimico da parte del regime di Assad. Usa, Gran Bretagna e Francia hanno accusato Assad. Obama dovrebbe rendere pubblico oggi il contenuto del rapporto dell’intelligence Usa, con le prove del ricorso alle armi chimiche. Per Foreign Policy, i servizi segreti Usa avrebbero intercettato una telefonata «in preda al panico» dopo l’attacco del 21 agosto di un responsabile del ministero della difesa siriano con il capo delle unità delle armi chimiche. Sarebbero state queste prove, alcune pare fornite da Israele e poi confermate dalla Cia, ad aver spinto Obama alla decisione di un intervento imminente. È su questa base che viene basata la «legittimità» di un intervento, anche in mancanza della «legalità» di un via libera del Consiglio di sicurezza dell’Onu. Questa sfumatura tra legittimità e legalità era già stata invocata per l’intervento in Kosovo nel ’99. Dalla Nato.