La guerra in Yemen non è più un affare mediorientale. Non lo è mai stato, ma le navi da guerra statunitensi dispiegate ieri lungo le coste yemenite sono l’ulteriore dimostrazione della centralità del piccolo paese del Golfo negli equilibri regionali e globali. Poche ore dopo è arrivata la notizia della fine dell’operazione “Tempesta Decisiva”: Riyadh ha annunciato lo stop alle operazioni militari e l’inizio di una nuova fase, stavolta «politica». In un comunicato ufficiale la coalizione ha dichiarato la distruzione di tutto l’arsenale militare Houthi e quindi l’avvio di una nuova operazione, “Ripristino della Speranza”, volta a proteggere i civili e estirpare il terrorismo interno.

Eppure solo poche ore prima la famiglia reale aveva ordinato alla Guardia Nazionale di prepararsi a prendere parte all’operazione militare, che da aerea diverrebbe terrestre. Una possibilità che rende concreta un’escalation della guerra fredda tra Iran e Arabia saudita. Soprattutto dopo il dispiegamento di dieci navi – tra cui l’incrociatore Normandy e la portaerei Roosevelt, già presenti nell’area da febbraio da parte statunitense. La flotta è stata mandata nella zona in cui le navi iraniane si muovono per tenere sotto controllo il Golfo di Aden, strategico perché punto di transito dei cargo di petrolio diretti in Europa. La coalizione anti-sciita guidata dall’Arabia saudita è convinta che le imbarcazioni iraniane stiano in realtà trasportando illegalmente armi al movimento ribelle degli Houthi, sul quale la scorsa settimana si è abbattuto l’embargo a senso unico dell’Onu.

«Stiamo monitorando da vicino tutte le attività marittime nel Golfo di Aden – ha detto alla Cnn il comandante Stephens della Quinta Flotta – Non discuteremo del numero o del tipo della navi che stiamo monitorando né la loro possibile destinazione». Eppure l’obiettivo è chiaro: intercettare il convoglio di sette navi battenti bandiera iraniana che – Washington ne è convinta – sono dirette in Yemen con armi a bordo. E seppure gli Usa non abbiano l’autorità di abbordarle, esiste la possibilità che vengano intercettate se dovessero entrate nelle acque territoriali yemenite.

Se non lo faranno gli Usa, lo faranno gli alleati: al fianco delle navi Usa sono schierate infatti quelle saudite e egiziane, una dimostrazione di potere e un chiaro avvertimento all’Iran, la cui rinnovata legittimazione internazionale – conferita dallo stesso presidente Obama con l’accordo sul nucleare – preoccupa in ogni caso gli Stati uniti che vogliono tenere a bada le mire di influenza di Teheran sulla regione. Un’influenza che si allarga a macchia d’olio, dalla Siria all’Iraq, rafforzata dal ruolo che l’Iran si sta ritagliando nella crisi yemenita: quella del mediatore, del negoziatore che propone direttamente all’Onu piani di cessate il fuoco e di transizione politica pacifica.

L’Iran si premura: «Non permettiamo a nessuno di darci avvertimenti o minacciarci perché stiamo lavorando seguendo il diritto internazionale – ha commentato l’ammiraglio Sayyari, comandante della Marina di Teheran – Stiamo lavorando per la sicurezza del nostro paese e quella degli altri». Perché, ufficialmente, aggiunge Sayyari, quelle navi sono lì per combattere la pirateria.

Alla diplomazia messa in campo dagli Ayatollah al Palazzo di Vetro, Riyadh aveva risposto ieri sbeffeggiando lo stesso Ban Ki-moon che pochi giorni fa aveva chiesto un cessate il fuoco immediato e totale. Tutti devono abbandonare le armi. Di diversa opinione gli inviati del Golfo che lunedì avevano presentato al segretario generale il loro secco no al cessate il fuoco.

Perché la violenta operazione “Tempesta Decisiva” si interrompa, aveva chiarito l’ambasciatore saudita all’Onu al-Muallami, «certe condizioni» vanno garantite, le stesse previste dalla risoluzione del Consiglio di Sicurezza Onu: gli sciiti lascino le zone occupate, abbandonino le armi e si pieghino al dialogo che oggi, a quanto pare, tutti bramano dopo averlo rifiutato per anni.

Così la quarta settimana di raid sauditi è stata inaugurata lunedì dal bombardamento di un presunto deposito di missili a Sana’a (secondo Riyadh base delle Guardie Repubblicane fedeli all’ex presidente Saleh) che ha però centrato abitazioni civili, uccidendo 38 persone e ferendone 532 (tra loro tre dipendenti della tv yemenita Al-Yawm). Ieri altri due raid a Ibb e Haradh hanno ucciso 40 persone, per lo più civili. Sale così il bilancio delle vittime della crociata anti-sciita: 944 morti, 3.487 feriti.