Mettere fine alla crisi umanitaria in corso sulla nave Etienne «immediatamente». Lo chiedono in una dichiarazione congiunta l’Alto commissariato delle nazioni unite per i rifugiati (Unhcr), l’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim) e l’International Chamber of Shipping (Ics). Quest’ultima, fondata nel 1921, è la principale associazione internazionale per l’industria navale e rappresenta l’80% del traffico globale di merci. «I governi stanno rifiutando al capitano della nave il permesso di far sbarcare migranti e rifugiati fuggiti dalla Libia in violazione del diritto internazionale», scrivono le tre organizzazioni.

A BORDO DELLA PETROLIERA ci sono 27 naufraghi, tra cui un minore e una donna incinta, tratti in salvo il 4 agosto scorso. Tra loro anche un minore e una donna incinta. Da 34 giorni sono ancorati davanti a Marsaxlokk, in italiano Marsa Scirocco, un villaggio di pescatori nel sud-est di Malta. Il premier e segretario del partito laburista Robert Abela rifiuta di assegnare loro un porto sicuro, intrappolando di fatto anche i 21 membri dell’equipaggio di uno dei più grandi armatori a livello globale. Secondo Abela la responsabilità sulle persone sarebbe della Danimarca, stato di bandiera della nave. Una tesi senza fondamento giuridico a cui anche Matteo Salvini aveva provato ad appigliarsi, con scarso successo.

«LA MAERSK ETIENNE ha rispettato le sue responsabilità ma adesso si trova in uno scaricabarile diplomatico» sostengono Unhcr, Oim e Ics. Che ha scritto a Kitack Lim, segretario generale dell’Organizzazione marittima internazionale (Imo), cioè l’agenzia Onu per la sicurezza della navigazione, sollecitando «un messaggio chiaro agli stati affinché assicurino che i casi di ricerca e soccorso marittimo siano risolti in conformità con la lettera e lo spirito del diritto internazionale».

La petroliera Etienne di proprietà della compagnia Maersk, una delle compagnie di navigazione più grandi al mondo

CON IL BRACCIO DI FERRO combattuto sulla pelle delle persone a bordo La Valletta sta mostrando la sua intransigenza assoluta allo sbarco dei migranti, perfino in numeri così ridotti e con il coinvolgimento di un armatore tanto potente. A prescindere dall’esito, questa vicenda non potrà che scoraggiare qualsiasi imbarcazione commerciale a salvare vite umane, un imperativo etico che ha definito le regole della navigazione durante centinaia di anni e poi è stato tradotto in dovere giuridico dagli accordi internazionali. Ad esempio con l’articolo 98 della «Convenzione delle Nazioni unite sul diritto del mare» o il regolamento 33 del capitolo V della «Convenzione internazionale per la salvaguardia della vita umana in mare».

«IL SALVATAGGIO IN MARE è un imperativo umano basilare», ha affermato Filippo Grandi, alto commissario Onu per i rifugiati. Per il direttore generale dell’Oim Antonio Vittorino «l’assenza di un chiaro, sicuro e predicibile meccanismo di sbarco per le persone salvate nel Mediterraneo continua a porre un rischio per la vita che è evitabile». Nell’accordo per la redistribuzione firmato a Malta nel 2019, infatti, non è prevista una modalità automatica di condivisione tra i paesi firmatari delle persone che sbarcano. Così di volta in volta si devono attivare negoziati singoli.

DA BRUXELLES il 31 agosto avevano fatto sapere che la Commissione europea si stava occupando di trovare governi disposti ad accogliere i 27 migranti. Ieri un portavoce dell’istituzione comunitaria ha rinnovato l’appello ai paesi membri a «lavorare insieme» affinché le persone sbarchino rapidamente. «Gli stati costieri hanno responsabilità essenziali, ma non devono essere lasciati soli», ha detto. Dopo oltre un mese, dunque, all’orizzonte non è stata avvistata ancora una soluzione certa. Intanto a bordo il clima è sempre più teso: domenica in tre si sono lanciati in mare e sono stati salvati dall’equipaggio. Per la seconda volta.

 

L’appello lanciato il 4 settembre da Volodymyr Yeroshkin, capitano della Etienne