Ci sono due abiti bianchi che s’intrecciano e scambiano le loro storie, scivolando uno sopra l’altro, accumulando sventure. Uno sarà intriso del sangue dell’artista e performer Pippa Bacca che in un boschetto vicino a Gebze, in Turchia, mentre viaggiava vestita da sposa – corpo prestato all’arte e alle geografie sentimentali di una comunità planetaria – fu brutalmente uccisa, dopo essere stata violentata da un camionista a cui aveva chiesto un passaggio. Il secondo sarà cucito prima nel silenzio, poi in un fiume di interrogativi che si annoderanno tutti intorno alla figura di una madre abbandonata, incapace di sostenere il conflitto esistenziale.

LA MADRE è quella di Natalie Léger, autrice francese del romanzo L’abito bianco (La Nuova Frontiera, traduzione di Tiziana Lo Porto, pp. 122, euro 15), che sarà ospite stasera al festival Letterature, presso lo Stadio Palatino (dalle 21), in un incontro dal titolo E all’improvviso, a volte, vediamo.

Nel suo libro, condotto passeggiando in riva al mare o sotto eucalipti come fosse un diario che entra ed esce da se stesso, la scrittura ogni tanto deraglia dal soggetto principale e devia verso il memoir (anche altrui), ghermisce con parole ispide e acuminate il riaffiorare di cognizioni antiche, sonda l’impudicizia delle emozioni nei fantasmi, ragiona con desolato stupore sul rischio che comporta il proprio essere «visibile».

A TESSERE LA TRAMA ci sono due divorzi dalla vita, quel «non essere all’altezza» materno, lo smarrirsi dentro i contorni di una relazione fragile e, dall’altra parte, quella trasgressione fiduciosa e allegra di un «corpo nomade» che si andava aprendo al mondo intero e a un certo punto è costretto a interrompere la sua storia, ad assumere su di sé la violenza cieca, finendo, in abito nuziale non più candido ma sporco, sottoterra. Calpestato, spogliato, deriso.

L’abito bianco ricostruisce una notizia di cronaca, tornando spesso su quel maledetto e simbolico 8 marzo 2008 che segnò la fine dell’artista Bacca, ma soprattutto è un invito al viaggio negli abissi dell’essere umano, con tutto lo sconcerto necessario all’impresa.