«Battle born» (nato in battaglia) è lo slogan scritto sulla bandiera del Nevada, a ricordare con orgoglio che lo stato fu ammesso all’Unione nel 1864, durante la Guerra Civile. E Battleborn è anche il titolo originale del libro con cui la scrittrice americana Claire Vaye Watkins ha esordito nel 2012, una raccolta di racconti pubblicata ora da Neri Pozza con il titolo Nevada (traduzione di Serena Prina, pp. 267, euro 18,00) ambientata interamente in quello stato. La misteriosa «Razor Blade Baby», «la bambina del colpo di rasoio» che appare nel primo racconto del libro, è anch’essa nata in battaglia, partorita nel tristemente famoso Spahn Ranch da una ragazza che faceva parte della «famiglia» di Charles Manson.

«Fantasmi, cawboys»
In un certo senso, tutti i personaggi di Nevada, specialmente i più giovani, sono feriti dalle battaglie dell’esistenza, psicologicamente instabili, oppressi e inaspriti dal ruvido paesaggio desertico: alla disperata ricerca di una via d’uscita – attraverso divertimenti pericolosi, rapporti affettivi contorti, svaghi autodistruttivi –, rimangono al tempo stesso bisognosi di stabilire una connessione con il passato, con il luogo dove vivono, con le persone amate.

Il racconto d’apertura, intitolato «Fantasmi, cowboys», è anche il più riuscito e funziona da cornice e mise en abyme dell’intera raccolta. La narrazione si sviluppa su diversi piani temporali che si intrecciano tra loro mescolando eventi storici e memorie personali, autobiografia e invenzione narrativa, finché il realismo si fa magico e la storia si cristallizza nel mito.

A raccontare le vicende è una donna di nome Claire, che condivide con l’autrice un significativo dettaglio biografico: Claire Vaye Watkins è infatti la figlia di Paul Watkins, il braccio destro di Charles Manson, che aveva il compito di attirare le ragazze allo Spahn Ranch affinché si unissero alla «famiglia». Paul si staccò dal gruppo di Manson prima dei famosi omicidi e fu uno dei testimoni chiave dell’accusa; morì nel 1990, quando Claire aveva sei anni. L’autrice ha spiegato in diverse interviste che i suoi vaghi ricordi del padre si confondono con le storie ascoltate, lette e raccontate su di lui nel corso degli anni. Forse è anche per questo che i personaggi di Nevada riflettono in modo ossessivo sul rapporto tra storyteller e storytelling: Claire si chiede di continuo da dove dovrebbe cominciare a raccontare la sua storia, mentre la giovane protagonista del racconto intitolato «L’archivista» immagina la propria vita commemorata in un museo, con «un’ala riservata alla Madre» e targhe esplicative su diorami che ne ricreano gli episodi più importanti.

A collegare tra loro i dieci racconti è il paesaggio arido e inospitale del Nevada, vero e proprio protagonista del libro – dal deserto dove si perde un giovane turista italiano in «Il trapassato, il passato continuato, il passato semplice», al fondale asciutto di un lago dove l’anziano protagonista di «Man-O-War» rinviene il corpo privo di sensi di una ragazza incinta; dagli sfavillanti casinò di Las Vegas alle casupole di Virginia City, pubblicizzata come «città di cimeli e ricordi e fantasmi del passato» e ritrasformata per i turisti nell’avamposto del West dove visse anche Mark Twain. Watkins, che sull’onda del successo di Nevada ha scritto un romanzo apocalittico intitolato Deserto americano (anch’esso pubblicato da Neri Pozza) ha precisato che ogni storia viene fuori da un luogo specifico: «Arrivata alla fine della raccolta guardavo una mappa e pensavo: “Dov’è che non ho ancora ambientato un racconto?”». I suoi modelli letterari sono Joan Didion e Annie Proulx, ma anche la Toni Morrison di Beloved, Cormac McCarthy e Flannery O’Connor, tanto che qualcuno ha coniato per la sua scrittura la categoria «Nevada Gothic».

Il Nevada è anche conosciuto come «Silver State» per via dei ricchi filoni d’argento, scoperti a Comstock nel 1859, che fornirono un impulso decisivo allo sviluppo del territorio. Nel racconto scritto per ultimo e intitolato «Gli scavi» – il più lungo della raccolta –, l’autrice torna alla metà dell’Ottocento per narrare la storia di due giovani fratelli che partono da Cincinnati al grido di «Ho for California!» e riescono ad aggiudicarsi una concessione mineraria in Nevada.

Così Mark Twain
Watkins si è documentata a fondo sul periodo storico, leggendo soprattutto la corrispondenza dei cercatori d’oro, nel tentativo di ricreare non solo il linguaggio dell’epoca (che inevitabilmente la traduzione italiana non riesce a rendere in pieno), ma anche l’atmosfera di eccitazione – e successiva delusione – che si respirava durante l’espansione a Ovest. Del resto, la febbre dell’oro colse anche Twain, che visse in Nevada dal 1861 al 1864 e raccontò la sua esperienza in Roughing It (tradotto in italiano con vari titoli).

Anche se nel racconto «Virginia City» Twain è poco più di una targa con «piccoli baffi di bronzo», leggendo Nevada la sua descrizione di quel territorio parrebbe ancora calzante: l’autore di Huckleberry Finn scrisse in una lettera da Carson City che «se il diavolo fosse messo in libertà e gli dicessero di restare nel territorio del Nevada, verrebbe qui e dopo essersi guardato tristemente intorno per un po’ avrebbe nostalgia di casa e se ne tornerebbe all’inferno».