Italia

Nasce il gruppo per la pace

PARLAMENTO Oltre settanta tra deputati e senatori, per disarmare la politica

Pubblicato circa 11 anni faEdizione del 11 luglio 2013

Dopo le mozioni di una decina di giorni fa della camera dei deputati per fermare il programma F35, sono previsti altri appuntamenti sulla pace e il disarmo in parlamento. Da lunedì prossimo sarà il senato a discutere le tre mozioni (del Pd Casson, di Sel e del M5S) che chiedono la sospensione o l’interruzione della produzione dei cacciabombardieri. Poi, sempre la prossima settimana, il parlamento dovrà occuparsi del decreto del “Fare”, dove c’è un articolo, il 48, che prevede di trasformare i nostri militari in commercianti d’armi per le industrie belliche. Quell’articolo va soppresso.

Sempre nelle prossime settimane – si spera – il parlamento dovrebbe occuparsi della ratifica del Trattato internazionale sul commercio di armamenti, approvato dalle Nazioni Unite nel marzo scorso e da giugno aperto alla ratifica dei paesi membri. Nel frattempo il Tar ha bocciato il ministero della difesa e i lavori al Muos non riprenderanno. Delegazioni di parlamentari pacifisti (con gli attivisti dei movimenti) stanno visitando poligoni e basi militari: dopo il Muos e Aviano, nelle prossime settimane sarà la volta di Cameri (dove si assemblano gli F35) e delle basi in Sardegna.

Per ultimo – proprio oggi – oltre 70 deputati e senatori di diverse forze politiche costituiscono il gruppo dei “parlamentari per la pace” che intende promuovere – con la collaborazione di campagne e coordinamenti pacifisti come la Rete Disarmo, Sbilanciamoci e la Tavola della pace – iniziative comuni sui temi della pace e del disarmo in parlamento.

Il tema della pace e del disarmo è tornato al centro del dibattito politico italiano. E questo è un bene. Evidente è il nervosismo e il fastidio crescente degli apparati e dei vertici della difesa e del ministro Mauro che vuole “armare la pace”, magari grazie a quei formidabili “strumenti di pace” che sarebbero secondo lui gli F35. Fino a oggi il ministero della difesa e gli interessi del blocco industriale/militare sono stati salvaguardati da una cappa protettiva “bipartisan” che ha garantito alti livelli di spesa militare (più di 25 miliardi di euro), abbondanti commesse all’industria bellica, sostegno a un interventismo militare nelle aree di conflitto. E i prossimi decreti attuativi della legge delega sullo strumento militare garantiranno – insieme ai tagli del personale – maggiori risorse per gli investimenti nei sistemi d’arma. Non ci sono solo gli F35, ma anche i sommergibili (altri quattro), gli incrociatori e le fregate (in tutto una dozzina di navi nei prossimi mesi) che ci faranno spendere nei prossimi anni miliardi di euro. Invece di destinare risorse al lavoro e alle misure contro la crisi continuiamo a buttare soldi nella guerra.

Sono altre le priorità di cui dovrebbe occuparsi la politica italiana: ridurre la spesa militare a favore del lavoro e del welfare, porre fine agli interventismi armati di carattere bellico, promuovere politiche di pace e finanziare il servizio civile, riconvertire l’industria militare investendo nelle produzioni civili, porre limiti al commercio di armi vietandolo una volta per tutte quando ci sono di mezzo paesi in guerra e che violano i diritti umani.
Riportare la pace nella politica, significa cambiare le priorità dell’agenda politica e se si vuole “amare la pace” bisogna disarmare l’economia e la politica rimettendo al centro i diritti umani, la cooperazione e la giustizia economica e sociale. E rispettare, una volta per tutte, l’art. 11 della Costituzione: «L’Italia ripudia la guerra».

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