La coincidenza, domenica, tra la festa della mamma e il compleanno dell’Europa, che a 71 anni si avvia a meditare su se stessa, ha creato strani cortocircuiti informativi e mentali.

Giornali pieni di riflessioni, per lo più positive, sulla maternità (meno positive sulla strutturalmente ardua rincorsa dei padri, con i loro congedi familiari sempre insufficienti) e di buoni propositi sul da farsi: se solo fossimo capaci di vincere l’apatia melanconica, come minimo, che il virus ci ha appiccicato addosso.

Sul Corriere della sera Antonio Scurati si chiedeva come si possa restare insensibili, non entusiasti, di fronte a una “umanità affratellata da una campagna vaccinale che non distingue in base al censo ma al bisogno”. A cui si aggiungono lo scienziato che “dichiara possibile un vaccino contro il cancro”, la dichiarazione di Biden contro i brevetti dei “colossi farmaceutici” e infine gli immancabili 250 miliardi che Draghi vara per lo sviluppo del paese.

Ci sarebbe da discutere. Le immagini che arrivano dall’India parlano un linguaggio diverso. Anche quelle della scuola femminile devastata a Kabul. O delle tensioni a Gerusalemme. Molti poi si ostinano a non vedere solo oro luccicante nelle migliaia di pagine del mitico Pnrr.
Finora la vaccinazione procede nei nostri paesi ricchi. All’appello mancano i nove decimi dei 7 miliardi che siamo. Immagino con tutti i più poveri.

La filosofa Michela Marzano, su la Repubblica spiegava “Cosa vuol dire essere madre”, enumerando “Cura, tenerezza, sostegno, presenza, riconoscimento, contenimento, trasmissione, umiltà”. Il suo è un ragionamento a ampio raggio. Quasi tutto, dalla filosofia a Dio (che secondo Papa Francesco è “padre e madre”) può “essere madre”. Anche un uomo (con o senza figli). Chiunque ci aiuti “ad attraversare le nostre paure e le nostre incertezze”. Ecco “una madre, appunto. Indipendentemente dal fatto che abbia o meno figli. Indipendentemente persino dal sesso, dal genere e dall’orientamento sessuale”.

Sarò un incupito bastian contrario ma Scurati che invita all’ottimismo di lotta per uscire dalla “stracca declinante opulenza edonistica” e Marzano che mi vorrebbe mamma (mi basterebbe essere, se mai, un padre decente) hanno avuto lì per lì un effetto ancora più deprimente.
Mi ha risollevato lo spirito Vittorio Lingiardi, che anticipando il suo nuovo libro (Arcipelago N. Variazioni sul narcisismo, Einaudi) sulla Domenica del Sole 24Ore, spiegava che tra i dannosi narcisisti “vulnerabili” e i persino peggiori narcisisti “grandiosi”, si da il caso del narcisista “cosiddetto sano”: uno che coltiva una “equilibrata soddisfazione per le proprie capacità e i propri successi”. E che ogni tanto è persino capace di provare “una specie di gioia di sé”. Qualcosa che ci sostiene senza spingerci a rivalità o a attacchi invidiosi. “Un amor proprio senza presunzione e la capacità felice di provare gratitudine”.

Insomma, per vincere il male oscuro che la difficile prova pandemica ci procura, più che illudersi sull’evenienza di nuove sorti magnifiche e progressive, o convincersi di poter essere tutto, come Dio in persona, o qualche metamorfo supereroe disneyano, dovremmo guardarci con più indulgenza allo specchio.

Forse non le abbiamo sbagliate proprio tutte. E un po’ di buoni sentimenti verso se stessi (senza esagerare, beninteso) possono aiutarci alla “generosità nell’amore”, alla “sincerità del proprio interessarsi agli altri”, al “perdonare le imperfezioni proprie e altrui” (ancora Lingiardi). Tutte cose senza le quali non credo ci sia speranza di cambiare in meglio, almeno un po’, L’Europa, e il mondo intero.