Due o tre mesi fa, quando era ancora presidente della Repubblica, le sue parole avrebbero avuto ben altro peso. «Guai se si ricomincia da capo», ha detto ieri il senatore a vita Giorgio Napolitano, volendo ancora una volta spingere la legge elettorale che (a partire da questa settimana) Renzi farà ingoiare al suo partito e a tutto il parlamento. E in effetti Napolitano lo aveva già detto, a metà dicembre, nel suo ultimo discorso al Quirinale, quando mise in croce quelli che con «spregiudicate tecniche emendative» osavano rallentare le riforme di palazzo Chigi. Non ha cambiato idea. Semmai ci si potrebbe chiedere quanto sia corretto per un ex capo dello stato intervenire così pesantemente su quella che sarà materia di giudizio per il suo successore. E lo sarà presto, appena la legge sarà approvata dalla camera e arriverà sul Colle per la firma.

Intanto oggi cominciano le audizioni di esperti in commissione affari costituzionali. E contemporaneamente «Area riformista», la corrente maggioritaria tra le minoranze Pd, si riunisce per decidere quale seguito dare alla raccolta di 80 firme in calce al documento che chiede modifiche, o almeno una modifica (aumentare la quota dei deputati eletti con le preferenze) all’Italicum. È assodato che quelle modifiche Renzi non le concederà. Ma lo è anche che i «riformisti» guidati dal capogruppo Speranza non hanno intenzione di spaccare il partito con un voto contrario. Voto che per essere decisivo dovrebbe essere davvero compatto, e nemmeno di astensione: servirebbero novanta no all’Italicum dal Pd (impensabile). Probabile che i deputati del Pd contrari alla riforma – sono la maggioranza in commissione – chiederanno di essere sostituiti in massa, dopo che domani sera l’assemblea di tutto il gruppo avrà votato per respingere ogni proposta di modifica. Anche se c’è qualcuno che preferirebbe non fare spontaneamente il passo indietro, non c’è nessuno disponibile a fare la battaglia in commissione. Si preferisce aspettare l’aula, dove è vero che c’è il voto segreto ma ci sono anche tanti deputati di Forza Italia ansiosi di restare fedeli al vecchio patto del Nazareno firmato con Renzi.

In commissione affari costituzionali le audizioni andranno avanti oggi e domani, sfileranno anche diversi critici dell’Italicum come Massimo Villone e Felice Besostri (indicati da Sel che ha scelto anche Lara Trucco e Anna Falcone) e Lorenzo Spadaccini (indicato dal Movimento 5 stelle). Il capogruppo dei grillini in commissione, Danilo Toninelli, spiega di aver indicato un solo esperto della materia «perché non ha senso prolungare queste audizioni quando poi il Pd ha deciso che non ci saranno modifiche». Anzi, aggiunge, «in questo modo si toglie del tempo al dibattito, visto che è già stato deciso che la legge dovrà arrivare in aula il 27 aprile». In effetti il dibattito (in diretta streaming) potrebbe provocare qualche imbarazzo nel partito del presidente del Consiglio, visto che se effettivamente la minoranza decidesse di presentare e sostenere alcuni emendamenti – come quello per fissare un quorum di validità al ballottaggio, o quello per aumentare il numero degli eletti con le preferenze – in commissione rischierebbero di essere approvati.

Non andrà così, e il 27 aprile, o tutt’al più un paio di giorni dopo, potrà iniziare l’esame dell’Italicum in aula. Rigorosamente entro la fine del mese, in modo che nel mese successivo i tempi potranno essere contingentati. La legge va approvata entro maggio. Come piace a Napolitano, secondo il quale «non si può tornare indietro, disfare quello che è stato faticosamente costruito, elaborato, discusso in questi mesi». Certo, dice adesso l’ex capo dello stato, «è stato un gravissimo errore liquidare la legge Mattarella, che ha funzionato in maniera eccellente» (peraltro escludendo dal parlamento proprio l’ex capo dello stato, nelle elezioni del 1996). Una nostalgia che non si era sentita quando al Quirinale c’era ancora Napolitano, e Renzi e Berlusconi cominciavano a scrivere la storia dell’Italicum.