Al nuovo presidente della repubblica quello in scadenza, Giorgio Napolitano, lascia il lavoro dei «saggi» e una considerazione tratta «dai due cicli di consultazioni da me svolti senza perdere nemmeno un giorno» (tanto per rispondere a chi, come Matteo Renzi, da giorni ripete «fate in fretta»): «Solo da scelte di collaborazione che spetta alle forze politiche compiere, segnandone i termini e i confini – scandisce il capo dello stato – può scaturire la formazione del nuovo governo di cui il paese ha urgente bisogno. La parola e le decisioni toccano alle forze politiche, e starà al mio successore trarne le conclusioni».
Per quanto lo riguarda, insomma, Napolitano non farà altri tentativi. L’attuale inquilino del Colle – che ancora gode di un residuo tifo trasversale perché rimanga al suo posto con un nuovo mandato – non rinuncia però a un ultimo appello in favore delle larghe intese, e il lavoro dei «facilitatori» dovrebbe costituire una sorta di bozza programmatica per un governo di scopo. Larghe intese, solide e durature, continua a ripetere Silvio Berlusconi, indicando questa come condizione per un accordo con Pier Luigi Bersani su un nome per il Colle anche targato Pd. Dal canto suo, Bersani continua invece a dire no a un governissimo.

Il leader del Pdl e quello del Pd, dopo il loro incontro, negli ultimi giorni hanno mantenuto contatti telefonici in vista di un nuovo appuntamento faccia a faccia, non ancora fissato (potrebbe tenersi martedì). Il Cavaliere intende tentare comunque l’intesa sul Quirinale, sperando che sia proficua anche per la nascita del governo, e aspetta proposte appetibili. Ma in vista della manifestazione di oggi a Bari, dove è arrivato ieri sera, continua a tenere la guardia alta. Chiede appunto che si faccia presto «un governo solido e duraturo» altrimenti meglio tornare alle urne, aggiunge con i suoi. Sul piatto ci sono diversi nomi autorevoli, dicono poi viale dell’Umilità a proposito delle rose in circolazione, che comprendono Anna Finocchiaro – data in pole position – come Franco Marini, Giuliano Amato, Luciano Violante (il Pdl continua a guardare con interesse anche a Massimo D’Alema, e così fa anche Pier Ferdinando Casini).

Ma l’ex presidente del consiglio, che deve fare i conti anche con una Lega decisa a giocare in autonomia la partita del Colle (ieri Roberto Maroni ha bocciato seccamente il nome di Amato), continua sempre a temere il materializzarsi del suo incubo peggiore: Romano Prodi, sostenuto anche dal Movimento 5 Stelle. Voci di palazzo parlano addirittura di una sorta di intesa a distanza tra Bersani e Beppe Grillo per una convergenza, al quarto scrutinio, sul nome di Prodi. Arduo immaginare che ci sia davvero un qualche accordo, ma dai 5 stelle si è levata più di una voce favorevole a aprire un confronto con i democratici nel caso in cui le prime votazioni andassero a vuoto e si arrivasse alla quarta, quando per eleggere il presidente della repubblica basta la maggioranza assoluta dei grandi elettori,
Il segretario del Pd Bersani – che, preoccupato per la tenuta del partito, ieri mattina ha incontrato a lungo D’Alema – continua invece a essere marcato stretto da Matteo Renzi: «Spero che il gruppo del Pd faccia una valutazione seria, sarebbe assurdo immaginare un accordicchio alla meno, sulla base delle esigenze immediate», lancia frecciate il sindaco di Firenze a proposito dell’elezione del nuovo presidente della repubblica. Il «rottamatore» interviene alla presentazione del libro di Paolo Franchi su Giorgio Napolitano, e insiste: «Non si barattano sette anni per le prossime sette settimane», serve «una cornice di riferimento seria», perché «il Quirinale è la casa degli italiani».