«Cercate in quello che ho detto e troverete». Congedando la folla di giornalisti nel brevissimo brindisi dopo la cerimonia del ventaglio, Napolitano non aggiunge nulla a quanto enunciato con chiarezza pochi minuti prima. E in effetti non ce n’è bisogno. Perché stavolta il Quirinale non si è limitato a un semplice monito sulla stabilità o le riforme ma ha escluso al di là di ogni dubbio qualsiasi alternativa al governo Letta. Chi lavora a «ipotesi più o meno fumose o arbitrarie» di cambi di maggioranza – ha detto Napolitano – ci pensi bene prima di «staccare la spina», perché a Roma tutte le strade portano al Quirinale. E finché c’è lui da qui non si passa.
Anche Alfano resta al suo posto (nessuna «responsabilità oggettiva» del ministro nella pur «inaudita espulsione» delle madre kazaka e di sua figlia). Letta va messo al sicuro dalle fibrillazioni dei suoi stessi sostenitori (il Pd in trance pre-congressuale e il Pdl in emergenza giudiziaria perenne). Infatti attorno al governo serve «più coesione, non meno»: «È indispensabile proseguire nella realizzazione degli impegni presi, altrimenti le conseguenze potrebbero essere irreparabili». Non segue dibattito. Né pubblico e neanche, molto probabilmente, parlamentare.

[do action=”citazione”]«Re Giorgio» abbandona ogni ruolo di garanzia e blinda Letta e Alfano dalle critiche del parlamento. Questa maggioranza è letteralmente «obbligata» ad andare avanti. Chi lavora a scenari diversi lasci perdere[/do]

Perché mentre il capo dello stato stringe mani e saluta rilassato e cortese il gotha dell’informazione italiana è difficile sfuggire alla sensazione che la presidenza della Repubblica si sia ormai trasformata in qualcosa di molto diverso da quello che era anche soltanto un anno fa, quando di questi tempi lo stesso Napolitano preparava il congedo dal Quirinale alla fine del suo settennato. All’ottavo anno nelle stanze di papi e re, Napolitano è più che mai consapevole del suo ruolo: «Questo periodo è stato uno dei più intensi e inquieti della storia istituzionale repubblicana, per il succedersi di eventi straordinari, svolte, momenti di tensione e perfino di rischi di paralisi nella vita pubblica senza precedenti». Il grande timoniere resta al suo posto. Ed è l’unico che conta. La Costituzione formale non ha posto alcun argine a un doppio mandato che non ha precedenti. E quella materiale ha trasformato il Quirinale nell’ultimo Palazzo esistente a Roma. Dalle stesse parole di Napolitano, emerge che parlamento o partiti non possono discutere le decisioni del Colle. Non il parlamento o i partiti, non la stampa, tanto meno la magistratura. E nemmeno l’opinione pubblica italiana e internazionale, sconcertate dal razzismo del vicepresidente del senato e dalla consegna brevi manu di una rifugiata politica come ostaggio a un dittatore caucasico.
Non un ombra oscura i corridoi del Quirinale ornati di corazzieri dritti come cipressi. Ma l’abisso è di fronte a noi: «Quel che comunque è rimasto sempre incombente e che deve anche oggi avere il primo posto nella nostra attenzione collettiva è la criticità delle condizioni economiche e sociali del nostro paese, la serietà delle incognite con cui ci confrontiamo», ricorda Napolitano citando i pallidi spiragli individuati da Bankitalia e glissando sugli infiniti provvedimenti rinviati dal governo. «La premessa, nell’aprile scorso, era dare al paese un governo, non lasciarlo scivolare verso convulsioni destabilizzanti, nell’impotenza perfino di aver voce nel decisivo concerto europeo». E Bersani è servito.
L’obiettivo è ambizioso e irremovibile: attuare «senza esitazioni o forzature» il «cronoprogramma di 18 mesi» (sic) previsto dai saggi e affidato al governo Letta. Il che vorrebbe dire conservare questo governo anche per tutto il 2014, almeno fino alla fine del semestre di presidenza europea (il secondo dell’anno prossimo, subito dopo le europee). Anche Berlusconi si tranquillizzi: si difenda nei processi e abbassi i toni. Il Cavaliere per ora rispetta il copione, il Pd molto meno. Ma ogni scenario alternativo «ancorché legittimo», appare al presidente «velleitario». «Non ci si avventuri perciò a creare vuoti, a staccare spine, per il rifiuto di prendere atto di ciò che la realtà politica post-elettorale ha reso obbligato (corsivo nostro, ndr), per un’ingiustificabile sottovalutazione delle conseguenze cui si esporrebbe il paese».

[do action=”quote” autore=”Giorgio Napolitano”]«Non ci si avventuri perciò a creare vuoti, a staccare spine, per il rifiuto di prendere atto di ciò che la realtà politica post-elettorale ha reso obbligato, per un’ingiustificabile sottovalutazione delle conseguenze cui si esporrebbe il paese»[/do]
Poche, quasi inesistenti, le voci fuori dal coro. «La dialettica democratica è fatta anche di contrasti – commenta Nichi Vendola di Sel – abbiamo il diritto di contrastare la vergogna di un governo complice di uno stato dittatoriale. Per questo la permanenza di Alfano al ministero è uno scandalo e finché resterà lì, avremo il diritto e vorrei dire il dovere, di alzare la nostra voce».