La prima notte dopo l’annuncio della proprietà statunitense, intenzionata a cedere la fabbrica di Napoli, gli operai della Whirlpool l’hanno passata accampati nel capannone di via Argine, tra la portineria, l’auditorium e le tende canadesi montate nel parcheggio.

Sono 430 i lavoratori che rischiano il posto, vengono da sette anni di contratti di solidarietà in cui hanno accettato ogni condizione pur di continuare a produrre lavatrici.

Fino allo scorso ottobre erano sicuri che avrebbero avuto un futuro: «Il piano firmato al Mise prevedeva investimenti per 17 milioni e tutti i modelli di gamma alta trasferiti da noi – racconta il delegato Fiom, Giovanni Fusco -. Molti colleghi hanno attivato il mutuo, convinti di avere di fronte un periodo di rilancio e invece qui è nera. In tutta l’area industriale Napoli est, se noi chiudiamo, resterà una sola impresa, l’Hitachi, la vecchia Ansaldo ora in mano ai giapponesi».

Domani mattina ci sarà l’assemblea con Fim, Fiom e Uilm per preparare l’incontro al Mise di martedì. Intanto i lavoratori si organizzano in turni: chi presidia la fabbrica e chi dà la disponibilità ad andare a Roma, dove si prevede un arrivo in massa da tutti i siti produttivi del gruppo. Solidarietà è arrivata anche dagli operai Fca di Pomigliano d’Arco, loro preoccupati per le possibili conseguenze della fusione con Renault. Ieri mattina ai cancelli di via Argine c’era il sindaco, Luigi de Magistris: «La città lotterà affinché non sia toccato neanche un posto di lavoro».