A ottantasei anni, con ventotto film alle spalle, spesso marcatamente diversi tra di loro, Ridley Scott non è nuovo ai viaggi nella Storia – nella Roma imperiale di Gladiator (in arrivo il secondo capitolo), alle crociate con Kingdom of Heaven, nell’America di Cristoforo Colombo (1492), nella bibbia con Mosè (Exodus) e nel Medio Evo rivisto dal Me Too con The Last Duel. Napoleone non è quindi un soggetto imprevisto per l’instancabile regista inglese la cui immagine, «in testa» a una lunga serie di produzioni oversize – per ambizione, logistica e scala – si associa facilmente a quella di un generale. Un progetto lungamente coltivato da Stanley Kubrick (un altro regista/generale), Napoleon è il nuovo film di Scott, e il secondo kolossal targato Apple di quest’anno, dopo Killers of the Flower Moon. Ma laddove Scorsese ha scelto una chiave intima, nonostante la taglia enorme del film, Scott ha optato per una dimensione epica più letterale. Incontriamo il suo giovane Bonaparte (Joaquin Phoenix) tra gli spettatori della decapitazione di Maria Antonietta. Alcuni storici si sono lamentati che lui quel giorno non c’era, ma la scena iniziale è una fotografia efficace della Francia del Terrore sul cui sfondo Napoleone si sarebbe fatto velocemente strada grazie al suo genio militare.

DALLE STRADE allagate di sangue di Parigi, passiamo al porto di Tolone, da dove Napoleone respinge la flotta anglo/spagnola. Scott affronta, uno dopo l’altro, i passi obbligati della vicenda storica con un abile mix di sintesi e monumentalismo (viene, dopo tutto, dalla pubblicità), passando agilmente dall’Europa, alle Piramidi d’Egitto, alle steppe della Russia zarista, alla piana di Waterloo. Perfettamente coreografate e ispirate, nei colori e nella luce, dai quadri dell’epoca, le battaglie sembrano il luogo in cui – sia lui che il film- si trovano più a loro agio. Tra tutte, Austerlitz è la più spettacolare – con uno stagno che si apre sotto gli zoccoli dei cavalli dell’esercito austriaco. Ma a Waterloo ci si diverte di più grazie alla presenza di Rupert Everett nella parte della nemesi di Bonaparte, il duca di Wellington.

È meno soddisfacente, purtroppo, la trama che dovrebbe reggere Napoleon tra uno scontro militare è l’altro. Diversamente dal Commodo sopra le righe che aveva interpretato in Gladiator, qui Phoenix sembra sempre un po’ confuso sul da farsi – la sua scelta sotto tono non particolarmente efficace se l’idea era quella di ridurre a taglia Lilliput l’aura del condottiero/imperatore la cui ossessione di grandezza è diventata sinonimo di una patologia.

Napoleone è particolarmente confuso quando alle prese con Giuseppina (Vanessa Kirby) ex carcerata che diventa sua moglie dopo un incontro colpo di fulmine, e che poi – pur rimanendo l’amore della sua vita – verrà ripudiata perché non può dargli un figlio. La parte «moderna» della sceneggiatura di David Scarpa ci presenta infatti un imperatore umiliato dalle infedeltà di Giuseppina, terribile a letto (dove l’amante ussaro di lei è invece un mago) e generalmente manipolato come un burattino un po’ petulante.

LA STORIA del grande uomo vista alla luce della coppia è uno stratagemma narrativo simile a quello utilizzato da Bradley Cooper in Maestro. Ma qui funziona molto meno perché non c’è una vera sostanza psicologica a cui aggrapparsi. Come se tutto fosse rimasto sulla carta. Ridley Scott ha già annunciato che una versione di quattro ore del film (che adesso ne dure quasi tre) sarà disponibile in piattaforma. Magari il film migliore sarà quello.