In un quartiere popolare alla periferia di Tbilisi negli anni successivi al crollo dell’Unione Sovietica e alla dichiarazione di indipendenza della Georgia, c’è un istituto per bambini «ritardati», in realtà orfani abbandonati, che ora raccoglie anche figli di profughi e migranti, dopo che la guerra georgiano-abcasa ha provocato ulteriori sconvolgimenti nelle martoriate contrade del mondo caucasico post-sovietico: è in questa ambientazione che si svolge il romanzo Il campo delle pere della giovane scrittrice e regista georgiana Nana Ekvtimishvili (traduzione di Ruska Joroliani, che arricchisce il testo di note esplicative e una vivace postfazione non priva di riferimenti autobiografici, Voland, pp. 213, € 18,00).

La trama ruota intorno ai destini di un gruppo di bambini e adolescenti ospiti dell’istituto, che nel degrado sociale e morale di una società alla ricerca di nuove certezze interpretano le esperienze tragiche e comiche, sconvolgenti e banali di quegli anni, tra primi desideri sessuali, giochi, scherzi e un desolato senso di solitudine e abbandono. La lunga schiera dei personaggi prevede, oltre agli ospiti dell’istituto, i loro insegnanti, gli inservienti, i tanti abitanti del quartiere di via Kerc, con improvvise incursioni di persone estranee a quel microcosmo.

La protagonista, una ragazza di diciotto anni, Lela, è il punto di riferimento di tutta una rete di vicende, dalla morte del piccolo Sergo investito da un’auto, alla commovente storia di Irakli che, abbandonato dalla madre con la quale comunicava saltuariamente per telefono viene improvvisamente scelto da una coppia di facoltosi americani per essere adottato. Subito prima di salire sull’aereo che lo dovrebbe portare nel nuovo mondo, Irakli fugge, scegliendo di tornare all’istituto, nella vana attesa del ritorno della madre. Quanto a Lena,  decisa a uccidere il suo insegnante di storia, che l’ha violentata più volte nei locali dell’istituto, nella sua genuina e passionale vitalità offre il ritratto simbolico di una generazione alla ricerca di punti fermi nella vita e negli affetti.

Affermata cineasta della nuova generazione georgiana, il cui lungometraggio Bloom venne selezionato nel 2014 come miglior film in lingua straniera, Nana Ekvtimishvili imprime al suo romanzo i tempi di uno script cinematografico, dando alle descrizioni una cruda incisività e precisione allusiva alla caratterizzazione psicologica dei personaggi e alle loro reazioni. Della sua vena narrativa, il lettore italiano coglierà i tratti di esotismo e alterità che discendono dal complesso combinarsi dei realia georgiani e del mondo sovietico, dai riferimenti al folclore nazionale all’ambientazione nei quartieri dormitorio delle chruščёvki, le case a cinque piani costruite in serie al tempo di Nikita Chruščёv, mentre per le strade polverose della periferia di Tbilisi circolano ancora le sgangherate Žiguli, remake sovietico della Fiat 124.