Tutti i martedì, giorno di chiusura, Nan Goldin se n’è andata a gironzolare da sola fra le sale del Louvre, in mezzo alla Storia e ai capolavori che congelano lo scorrere dei secoli in uno sgargiante turbante da harem, una capigliatura sciolta, una posa lasciva, un bacio mitologico, un ritratto principesco. E poi, come secondo atto di quella passeggiata da vertigine, è nato un montaggio di immagini per assonanze affettive e sentimentali, un collage esistenziale che mette al centro sempre e solo il corpo, come unica tangibile verità, frontiera ultima – e dolente – della rappresentazione di sé e delle stagioni della vita.

La narrazione, allora, si fa sincopata, avvolgente, quasi un carosello di immagini che si rincorrono; a tratti una schiena nuda, un pube, un seno, si eclissano nel buio, inghiottiti in tagli chiaroscurali della luce. «Se qualcuno pensa che quella sia pornografia, è un problema suo, lo considero un individuo malato». Nan Goldin, fotografa americana che per decenni ha imbastito genealogie dell’amicizia e della sofferenza con i suoi album di famiglie allargate, questa volta si scontra/incontra frontalmente con la bellezza di tutti i tempi. Come il museo è un archivio, anche Goldin recupera cicli di sue foto, alcune inedite, sperdute in scatole, rivivificandole nella relazione sensuale con l’arte antica. D’altronde, la mostra presso la galleria Gagosian di Roma (fino al 24 maggio) fa riferimento ad una parola con un suono «archeologico», che affonda le sue radici nella civiltà classica: Scopophilia è il titolo per raccontare, fin da subito, l’amore e il piacere del guardare, atto totale, ossessivo, colmo di pietas. Lo stesso di un Andres Serrano.

Nan Goldin non è un’osservatrice qualunque. Le stanze di albergo di una vita notturna e dissipata che negli anni Novanta bruciava in fretta sogni e desideri, sono sostituite da interni più regali, sfondi settecenteschi, grottesche, colori tenui, pastellati. Ma nonostante il tocco aggraziato della fotografa, mai brutale, statue e persone reali condividono qui lo stesso destino: vengono frugate nella loro intimità, messe a nudo non soltanto fisicamente, nell’esposizione delle loro fragilità, ma anche da quello sguardo così vicino da trafiggere la pelle. Il pathos è il medesimo sia per chi aziona lo scatto che per chi posa senza conservare tracce di pudore, anche quando è un ermafrodito in marmo, una Venere dipinta, una ragazza in un bagno di Algeri. E il parigino Louvre si fa scostumato: diventa un catalogo di erotismo compresso. Ci voleva una Nan Goldin più meditativa e meno «sregolata» per sprigionarlo.

Già negli ultimi anni, l’artista di Boston (è nata nel 1953) aveva riconvertito la malinconia dark dei suoi affreschi emotivi – le tante morti per droga e Aids, gli amori finiti male, le violenze, la depressione, il suicidio della sorella – in tableau vivants dal sapore classico, puntando l’obiettivo sui bambini o riprendendo interni domestici meno precari e notturni, più colorati e vivaci. Era la sua un’apertura improvvisa al desiderio che finiva per immergersi in situazioni quotidiane descritte attraverso un’iconografia classica. I toni drammatici sembravano evaporati. Amici che escono dal bagno, altri che si riposano fra le lenzuola sgualcite dopo l’amplesso, ritratti affettuosi di un’infanzia che si prepara a camminare nel mondo. Dopo la «ballata» dedicata alla «sua» comunità newyorkese, quelle nuove istantanee cercavano di rianimare un umanesimo perduto.

La consuetudine di allestire film con slideshow è rimasta intatta (la musica è affidata a Alain Mahé). Èla parte migliore della mostra che sta girando nel mondo dal 2010 (arricchendosi, anche da Gagosian, con scatti e composizioni inedite). Ma è come se Nan Goldin avesse smarrito la spinta irresistibile a raccontare storie, la sua voglia di tessere una rete e di intrappolare lo spettore in un gioco di specchi. Ora, è come se procedesse al contrario: la narrazione si compie per sineddoche, viene restituita in brandelli, unendo pezzi e sfilacciando trame. Unico soggetto in grado di assumere su di sé quell’affabulazione rimane il corpo. Vulnerabile e disperatamente erotico.