Il Naga è un’associazione che si è costituita trent’anni fa a Milano per tutelare i diritti di tutti i cittadini stranieri, in particolare riconoscendo nella salute un diritto inalienabile dell’individuo. Oggi gli oltre 300 volontari garantiscono assistenza sanitaria, ma anche legale e sociale gratuita, agli stranieri irregolari e non, ai richiedenti asilo e alle vittime di tortura. Ogni anno negli ambulatori vengono visitate più di 15 mila persone. Da quell’intuizione del fondatore, Italo Siena, il corso della storia è profondamente cambiato e forse non basteranno i prossimi trent’anni per immaginare un altro modo di relazionarsi con un fenomeno geopolitico destinato a sconvolgere l’Europa. Ne parliamo con il presidente Pietro Massarotto.

Come eravamo nel 1987?

Alcuni medici di base attivi nel rivendicare il diritto assoluto alla salute si accorsero che gli ambulatori erano sempre più frequentati da cittadini stranieri. Erano le prime consistenti ondate migratorie e per i dieci anni successivi quello sarebbe diventato il fenomeno sociale più rilevante dei nostri tempi. Noi in particolare abbiamo scelto di occuparci del diritto alla salute. Poi, nel 1998, con la legge Turco-Napolitano, siamo stati coinvolti, insieme alla Caritas romana, nella scrittura dell’articolo 35, quello relativo alla salute. L’unico articolo apprezzabile di quella legge. Quel preciso momento è stato il nostro “mito” fondativo che ci ha spinto a proseguire fino ad oggi.

Infatti dicevate che eravate nati con lo scopo di estinguervi, però la legge Turco-Napolitano non si esauriva con l’articolo 35…

Già. Nel ‘98 pensavamo che avremmo anche potuto dismettere le attività, con la scrittura di quell’articolo ritenevamo di aver raggiunto in parte il nostro obiettivo politico. Invece ci siamo resi conto che il resto della legge avrebbe avuto un impatto devastante sugli immigrati: espulsioni generalizzate e centri di detenzione. L’introduzione dei Cpt per il Naga è stato un choc e non solo per noi, quelli sono stati anche anni di grandi mobilitazioni e battaglie politiche. I soggetti che tutelavamo sulla carta avevano ottenuto i diritti sanitari ma si vedevano negare tutti gli altri, il diritto al lavoro, all’ingresso. Da quel momento ci siamo dovuti strutturare per offrire anche forme di tutela relative non solo alla salute.

Un conto è portare avanti un’azione di volontariato in un momento di economia espansiva, altro discorso è insistere oggi. Quali sono le differenze e i problemi che dovete affrontare?

Sono due le questioni sostanziali. La sparizione della forma partito come soggetto in grado di interpretare istanze sociali che provengono dal basso, e mi riferisco alla sinistra. Non esiste più una catena di trasmissione tra le esigenze di un’associazione e la politica intesa anche come istituzioni. In questo vuoto vengono a mancare anche le relazioni che in parte c’erano tra le stesse associazioni, è una situazione che oggi ci costringe a diventare interlocutori politici per non restare isolati come soggetti che si limitano ad offrire assistenza. C’è poi il disastro avvenuto nell’opinione pubblica: l’immigrazione viene sempre percepita come negativa, i pregiudizi sono più radicati di prima, la sordità si è sedimentata nel tempo.

Tutto ciò comporta un ripensamento delle vostre attività?

Dobbiamo riuscire ad essere sempre più presenti sotto il profilo comunicativo e contemporaneamente stabilire rapporti diretti con altri soggetti per veicolare le nostre proposte senza cercare l’intermediazione della politica. Stiamo cercando di trasformarci in un soggetto politico tout court, altrimenti non ci resta altro che diventare un ente di beneficienza. E’ una scelta legittima, per carità, ma secondo noi non è abbastanza. Oggi le istituzioni, in primis la Regione Lombardia, stanno territorializzando i servizi alle Onlus di volontariato. Anche al Naga hanno offerto la possibilità di emettere ricette per gli stranieri al posto della Asl ma, seppur lacerati, abbiamo declinato l’invito: gratis non lo facciamo. Questa è solidarietà pura, ma non è fare politica per una causa.

Avete visto qualcosa di peggio della legge Minniti-Orlando sull’immigrazione?

Forse la Bossi-Fini, ma speravo di essermi liberato da certi obbrobri. L’eliminazione dell’appello per un diritto di asilo tutelato internazionalmente è una mostruosità giuridica. Quanto alla riapertura dei centri di detenzione rinominati in maniera scandalosa, è solo un vecchio strumento disumano che non ha mai funzionato. È una politica insensata, del resto sono decenni che il partito del ministro Minniti si affanna inutilmente a rincorrere la destra.