Anche se bisognerà aspettare ancora diversi giorni per conoscere i risultati definitivi, la vittoria a grandi numeri per la Lega nazionale per la democrazia di Aung San Suu Kyi è ormai una certezza. Ma una certezza non definitiva e dunque non priva di rischi.

Anche se gli osservatori della Ue hanno confermato che i seggi elettorali birmani sono stati gestiti con correttezza, non hanno ad esempio potuto visitare quelli nelle caserme e la Lega stessa, per bocca del suo portavoce Win Htien, teme qualche colpo di coda: «La Commissione elettorale rilascia intenzionalmente i risultati col contagocce – ha detto ai reporter – e forse sta covando l’idea di qualche trucco o qualcosa di simile: non c’è infatti nessun senso nel dare i risultati un po’ alla volta. Non dovrebbe essere così».

I risultati un po’ alla volta finiscono anche col ridimensionare qualche aspettativa creando così l’idea che i militari, che comunque per legge hanno diritto al 25% dei seggi delle due Camere, possano alla fine far girare i risultati a loro piacimento.Irrawaddy, uno dei più noti siti d’opposizione (clandestino durante il regime militare) prova a fare due conti: secondo la Lega, il partito di Aung San Suu Kyi avrebbe in mano almeno 380 seggi nei due rami del parlamento (su 433 seggi alla Camera Bassa e 224 nell’Alta) il che le consegnerebbe la maggioranza. I militari ne hanno 166 ma sul totale degli scranni in parlamento (657) ne bastano comunque 329 per poter contare tanto da esprimere il premier, e i due candidati (uno per Camera) sia alla presidenza sia alla vice presidenza: quella della presidenza è una poltrona che in Birmania conta più di quella del primo ministro ed è fondamentale per formare il governo.

E qui si entra nel campo delle speculazioni: la prima è che la Lega dovrebbe scegliere un altro candidato che non la sua leader visto che la Nobel ha tutte le carte in regola ma non quelle formali perché è stata sposata con uno straniero e stranieri sono i suoi figli, clausola studiata apposta per sbarrarle la strada.

Ma Suu Kyi come primo ministro potrebbe anche cercare un accordo coi militari e altri partiti per arrivare a cambiare la Costituzione, cosa non molto facile perché serve una maggioranza che la Lega da sola non può raggiungere visto che è necessario avere il 75% più uno dei voti dell’intero parlamento.

Altro scenario è che si negozi un candidato terzo che vada bene ai militari e alla Lega prendendo tempo. Insomma, scenari apertissimi e sempre che tutto fili liscio. Gli analisti birmani suggeriscono comunque anche un altro scenario: quello in cui i militari non solo resterebbero nelle loro baracche ma si laverebbero le mani della questione governo purché a loro siano riservati i ministeri chiave di Difesa e Interno, senza contare che tutte le leve dell’economia sono in loro potere. Un governo di facciata insomma, tanto per evitare sanzioni e salvare la faccia davanti al mondo. Continuando a guidare il Paese dal backstage.