Da 40 anni Filmmaker celebra la produzione indipendente, le sperimentazioni, le eccentricità, i non allineati, con una particolare attenzione alla produzione milanese. Anche perché lì è nato, grazie a un’intuizione dovuta, tra gli altri, a Silvano Cavatorta operatore culturale lui stesso anomalo, prematuramente scomparso.

PER QUESTA nuova edizione un titolo sembra rappresentare lo spirito, il cuore e l’anima stessa di Filmmaker, un corto, una fantastica sporca dozzina di minuti firmati da Tekla Taidelli, cineasta «indigena», già autrice di Fuori vena, diversi anni fa, una che non si è risparmiata nella vita e nelle sue proposte cinematografiche. E forse era un approdo inevitabile quello di My Big-Assed Mother (mia mamma culona), il film che viene proposto oggi sulla piattaforma Mymovies – disponibile online per 72 ore – e che accomuna Tekla, Abel Ferrara e Charles Bukowski (di cui quest’anno ricorre il centennale della nascita) per la realizzazione di uno di quei piccoli lavori che lasciano però il segno.

La storia è molto semplice: Tekla ha reclutato e affidato a Ferrara il personaggio di Bukowski per fargli riproporre i «reading poetry», in particolare My Big-Assed Mother (pubblicato in Italia da Feltrinelli nella raccolta di racconti Compagno di sbronze). Ove si narra di un giovane Bukowski che a 29 anni condivide una stanza con Tito e Baby, due prostitute, ma soprattutto grandi bevitrici e copulatrici, segnate da vino e preoccupazioni. I tre disturbano i vicini che chiamano la polizia, costretta a mollare il colpo con la coda tra le gambe perché Chinaski minaccia di chiamare l’avvocato che lo ha brillantemente difeso nei casi di «diserzione, atti osceni, violenza carnale, guida in stato di ebbrezza, disturbo della quiete pubblica, minacce, vie di fatto e incendio doloso». Vero? Falso? Quel che conta è che i piedipiatti sloggino e che il protagonista possa ritrovare l’erezione perduta, causa interruzione indebita e risultati ippici.

LA SCENOGRAFIA è tutta in due soli ambienti. La stanza dove i tre festeggiano la vita e il Mambo, il locale dove Ferrara-Bukowski fa il reading di fronte a un pubblico talvolta complice e talvolta ostile (e a una critica lui replica «la tua critica è giustificata, la tua vita no»). Ma è la genesi del film che merita di essere raccontata. E bisogna risalire a qualche anno addietro, quando Abel non disdegnava le sostanze, come Tekla del resto, e i due si incontrano a New York. Uno stonato, l’altra sfrontata. Si incontrano al ristorante di Marcello Assante che si spaccia per manager del regista, e lei si propone come italian independent filmmaker e gli sottopone il dvd del suo film Fuori vena. Tutti dopo avere visto il film le chiedevano se il protagonista si facesse davvero. Non Abel che dopo tre minuti (quella era la sua soglia d’attenzione) chiede invece «ma l’eroina era buona?». E si porta a casa il dvd.

Anni dopo Tekla torna a New York passa davanti al ristorante, la riconosce Assante, ma la riconosce anche Abel. E a Tekla frulla l’idea di mettere insieme due dei suoi idoli Ferrara e Bukowski, proponendo il racconto. Abel già si sente Chinaski, il film si fa. Ma due giorni prima dell’inizio riprese Abel dice che lui non può girare con le prostitute e che non essendo un attore intende solo leggere il racconto, come si faceva allora, in un locale. Tekla è nel panico, ma Abel le suggerisce come fare: la stanza in flashback e lui che legge davanti al pubblico partecipe. Il risultato è lì, da assaporare tutto. Dice Tekla che secondo Bukowski «il più bello spettacolo in assoluto è l’essere umano» e aggiunge «io ho avuto l’onore di interagire con uno degli esseri più umani che esistano: Abel Ferrara».