È la musica uno dei fili conduttori del 22° Sarajevo Film Festival che si conclude oggi. La rassegna bosniaca è iniziata nel migliore dei modi, ospitando per l’inaugurazione Robert De Niro che ha presentato Taxi Driver in occasione del quarantennale della sua uscita. Un ospite che prosegue la tradizione di testimonial eccellenti che danno alla manifestazione il tocco glamour cui sempre più ambisce. L’Sff ha trovato il suo spazio nel panorama internazionale, rafforzandosi come il principale appuntamento della regione e uno degli eventi cinematografici estivi. Assestata la parte festival, concorsi, anteprime, ospiti e così via, l’attenzione è sempre più rivolta alla parte «industry», ovvero alla produzione e alle attività indirizzate ai progetti in sviluppo, quelli quasi completati e all’incontro tra produttori, autori e distributori. Senza dimenticare il Talent Campus, iniziativa ormai consolidata pensata per i giovani professionisti del sudest Europa.

 

 

 

 

Nella massa di appuntamenti passa quasi in secondo piano anche il concorso internazionale, con otto film dei quali cinque opere prime in gran parte già passate nei festival di Berlino, Cannes e Locarno. Favoriti sono Godless – Bezbog di Ralitza Petrova e Scarred Hearts – Inimi cicatrizate di Radu Jude, rispettivamente Pardo d’oro e premio speciale della giuria la scorsa settimana in Svizzera. Altri film che possono ambire a premi (in giuria anche  Elia Suleiman) sono Album di Mehmet Can Mertoglu,  Dogs – Caini di Bogdan Mirica e Humidity – Vla nost di Nikola Ljuca.

 

 

 

Dalle grandi star mondiali del rock ai personaggi del pop-rock locale, la musica è molto presente nel programma, con titoli come Eat That Question: Frank Zappa In Its Own Words di Thorsten Schütten e Gimme Danger di Jim Jarmusch su Iggy Pop e i suoi Stooges nel programma speciale. Oppure con il capolavoro Que viva Mexico! di Sergei Eisenstein musicato dal vivo al Teatro Nazionale dai musicisti messicani dell’Ensamble de cine mudo.

 

 

 

La scena jugoslava tra gli anni Settanta e Novanta compare in parecchi documentari, per lo più presentati all’interno del BiH Festival che riunisce le produzioni bosniache dell’anno. Sorprende il film di un regista italiano che vive in Francia, Gianluca Loffredo, che con Andrea Postiglione ha raccontato in No Smoking In Sarajevo la storia di una delle band mitiche di quel periodo, gli Zabranjeno Pusenje, ovvero Vietato fumare.
Tre adolescenti cresciuti del quartiere di Koševo, un quartiere quasi modello vicino allo stadio dove le differenze sociali ed etniche scomparivano, che iniziarono a suonare diventando uno dei gruppi più popolari del Paese. Con la sua voce, raccontando la scoperta di un mondo da parte di un giovane italiano appassionato di musica, Loffredo ne ripercorre le vicende, utilizzando un ottimo materiale d’archivio e intervistando i tre fondatori Sejo, Zenit e Nele. Il film fa sentire la musica e restituisce lo spirito di quegli anni, evidenziando la vena surrealista del gruppo con la trasmissione televisiva satirica Top Lista Nadrealista e il movimento dei Nuovi primitivi. L’idillio si rompe a fine anni Ottanta quando, con l’ascesa dei diversi nazionalismi, i tre scopriranno di essere rispettivamente croato, bosniaco e serbo. Il nazionalismo contagia anche chi sembra avere gli anticorpi per contrastarlo, la formazione perde pezzi, per un periodo entra come bassista anche il regista Emir Kusturica, l’amicizia decennale si rompe e i tre prendono strade separate.

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Sejo ricostruisce una band con lo stesso nome a Zagabria, Zenit resta in Bosnia e Nele a inizio guerra si trasferisce a Belgrado, scrivendo musiche per Kusturica, formando un altro gruppo, scrivendo libri e diventando un intellettuale di spicco senza mai tornare a Sarajevo. Il regista cerca di farli riunire, dopo che i tre non si sono incontrati neppure al concerto per i trent’anni dalla fondazione. Utilizzando bene i filmati d’epoca, lasciando parlare i protagonisti e con pochi interventi, Loffredo realizza un buon documentario, coinvolgente e con una dose di malinconia, che fa diventare la parabola degli Zabranjeno esemplare di quella della Federazione.

 

 

 

La scena rock della città Tuzla, prima e durante la guerra, è ricostruita in Rock’n War …or Just Because it’s Friday di Damir Piric. Un racconto corale, con l’ausilio di video amatoriali, che parte dal 1986 quando una ventina di gruppi, anche esordienti, si esibirono in centro città. Da quel momento è un crescendo di interesse, tra i concerti di band mitiche come Ekv e Riblija Corba ai ragazzi che sulle cassette folk dei genitori registravano Metallica da un lato e Iron Maiden sull’altro. Il clima sempre più pesante si faceva però sentire e tra il ’90 e il ’91 si organizzarono svariati «concerti per la pace». Gruppi dai nomi come Pakleni dvopet, Parricide, Post mortem, Scarlet, Dead End e Ludilo, che suonavano hardcore ed ebbero una notorietà anche nelle altre repubbliche, finché uno dei musicisti morì saltando su una mina nella Bosnia centrale.

 

 

Jadranka di Branko Lazi è invece la storia di Jadranka Stojakovic, cantante morta a Banja Luka a maggio 2016. Musicista e cantante poliedrica, attiva dagli anni Settanta, collaboratrice di molti gruppi tra i quali i Bijelo Dugme di Goran Bregovi, si definiva «cantante di protesta, come Bob Dylan». Era così popolare da vedersi affidare la canzone ufficiale delle Olimpiadi 1984, per poi intraprendere una carriera in Giappone dove ha vissuto per un ventennio. Poi la scoperta di essere malata di Sla e il desiderio di tornare in patria a curarsi.