Non tutti conoscono il festival Musica insieme che si svolge da diciassette anni. Non tutti conoscono Panicale, un borgo antico molto antico (si parla di 1300) che si trova in Umbria su un cucuzzolo con vista sul lago Trasimeno. Non tutti conoscono Klaus Huber, compositore svizzero novantenne di rara raffinatezza e radicalità. Appunto lui, illustre residente a Panicale, ha fondato il festival Musica insieme e da un paio d’anni lo ha affidato alla direzione artistica di Joachim Steinheuer. Quest’anno il festival è dedicato al novantesimo compleanno di Huber. Un’edizione speciale. Che viene inaugurata con un’opera singolare di Salvatore Sciarrino: Vanitas per voce, violoncello,pianoforte.
La parola vanitas, spiega Sciarrino nelle note introduttive del programma di sala (che, poi, non è una sala ma la suggestiva chiesa Madonna della Sbarra), vuol dire vuoto, anche se da tempo non ce ne ricordiamo. E «con questa parola poi si è definito un genere di pittura seicentesco…[CHE] suggeriva lo scorrere del tempo e la caducità delle cose». Vuoto e precarietà del tempo da vivere, certo. Ma è bello pensare, mentre si ascolta questo capolavoro in sei parti senza interruzioni, allo spazio vuoto, allo spazio aperto a un flusso di musica prevalentemente intima, spesso interrogativa, sottile e inesplicabile eppure costruita nel suo insieme con un solido ricorso al leit-motiv, alla breve linea di suoni che appare all’inizio e ritorna e viene variata con delicatezza estrema.
L’interpretazione di Anna Maria Pammer (voce), Verena Sennekamp (violoncello) e Katharina Olivia Brand (pianoforte) suona un po’ scolastica, un po’ «alla lettera». Ma l’idea musicale e la sua realizzazione compositiva sono, al solito per Sciarrino, magnifiche. Suoni lunghi che si perdono. Glissandi. Emergere rado del violoncello dal canto salmodiante. Emissioni come esitanti. «È un lied», dice Sciarrino. Un lied di suoni singoli lunghi che si compenetrano e rispondono uno all’altro, tra violoncello e voce. Mentre al pianoforte sono affidate parti di interlocuzione fatte di accordi pastosi, pause irregolari, improvvisi violenti grappoli di suoni, imprevedibili arpeggi decorativi («floreali», si potrebbe dire, visto che i testi di un gran numero di autori, ricomposti da Sciarrino, parlano molto di rose).
Questi episodi decorativi sono nel testo. E aggiungono un tocco spiazzante all’originalissima scrittura. Ma è giusto rendere decorativo Sciarrino, questo Sciarrino? È giusto renderlo «leggibile» marcatamente, renderlo «melodico» più di quanto, misteriosamente, egli sia? Le tre brave strumentiste non si pongono problemi, sembrano persino tentate dall’evocazione di sapori del salotto d’altri tempi. Ma la musica di Sciarrino pone problemi. Il problema del «contemporaneo», anzitutto. Che – una delle risposte possibili, forse la più attraente – consiste in un essere in sintonia e in dissenso col tempo presente. Questo sottilissimo, inquietante dissenso sciarriniano, ecco, qui a Panicale si sente poco.