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Murasaki Baby, un’eroina da amare

Game Un videogioco che si muove tra visioni surreali e grottesche che rimandano ai lavori di Tim Burton e all'espressionismo tedesco degli anni Trenta. Un'intervista all'autore, Massimo Guarini

Pubblicato circa 11 anni faEdizione del 14 settembre 2013

 

C’è una strana bambina, con una bocca dai denti storti che le si apre sulla fronte e dei capelli che sembrano vermicelli sulla testa enorme che poggia su un corpicino esile. Non è mostruosa malgrado la sua curiosa anatomia, ma tenera e piccola, regge un palloncino a forma di cuore e apre un uscio che si spalanca sul panorama inquietante di una città violacea dagli edifici sbilenchi. Sembra sperduta, finchè il dito di un giocatore sfiora lo schermo della Ps Vita che separa quell’elettronico paese onirico dal nostro e la prende per mano, facendola ridere felice. Accompagneremo la bimba per un lungo viaggio sospeso tra incubi terrificanti e dolci sogni, non l’abbandoneremo mai.

Si tratta di Murasaki Baby, videogioco di Ovosonico, software house italiana con base presso le rive del Lago Varese, presentato al mondo per la prima volta durante la conferenza di Sony alla Gamescom di Colonia. Si tratta di un trailer di poco più di un minuto che commuove, fa sorridere, sconvolge, spaventa ma soprattutto stupisce per la stramba bellezza del design e per alcune spettacolari e rivoluzionarie invenzioni ludiche che fanno leva sul contatto fisico “vero” tra chi gioca e chi “esiste” nell’altrove digitale.

L’autore di Murasaki Baby è Massimo Guarini, già game-director di uno dei capolavori incompresi di questa generazione, ovvero Shadow of The Damned, a cui hanno lavorato i maestri giapponesi Shinji Mikami di Resident Evil, l’eclettico e rivoluzionario Suda 51 e Akira Yamaoka, musicista di Silent Hill. Guarini ha deciso di tornare in Italia dopo anni di lavoro all’estero per fondare Ovosonico, un fatto che ci può fare sperare che anche il nostro paese possa avere un futuro nell’industria videoludica.

Ciò che abbiamo potuto provare di Murasaki Baby è davvero stupefacente e unico: anche solo durante il breve segmento disponibile, poiché il gioco è ancora in via di sviluppo, l’empatia per quella buffa bimba nel suo onirico mondo di paure e gioie ci ha imposto di tentare in tutti i modi di metterla al sicuro. Quando infine l’abbiamo lasciata “sola” dentro la console, per provare altre novità nella tempesta di visioni ludiche della fiera tedesca, è stato triste.

Abbiamo incontrato Massimo Guarini a Colonia, dove ci ha raccontato qualcosa di questa preziosa esclusiva per la console portatile di Sony.

La visione poetica di Murasaki Baby?

Murasaki Baby è un gioco che definisco emozionale, la nostra visione poetica è quella di tentare di stabilire un forte legame tra il giocatore e il personaggio sullo schermo e, per realizzare ciò, una cosa che ritengo innovativa, ho fatto in modo che si potesse prendere veramente per mano la protagonista, usando il dito sul touch-screen. E’ proprio questo contatto che da inizio al rapporto di amore ma anche di odio con il personaggio. L’idea poetica si sviluppa attorno ad un viaggio nel mondo onirico dei bambini, che è un luogo fiabesco sia carino che spaventoso e, attraverso il viaggio, il giocatore comincerà a prendersi cura di Baby.

La curva emozionale del videogame si basa sull’empatia del giocatore ed è il mio obbiettivo principale che alla fine si provi davvero qualche sentimento per la protagonista. E’ molto difficile ottenere un risultato di questo tipo, perché di solito il “gameplay” dei videogiochi si basa sulla sfida, sulla regola, sul punteggio esui record; quindi l’aspetto emozionale viene relegato ad una narrazione statica: uno script preesistente che viene integrato nel gioco. Così è la sceneggiatura che determina le emozioni dell’utente, dicendogli quando deve piangere, arrabbiarsi o ridere. Non dico che sia una cosa sbagliata, ma è una distorsione tipica degli albori dei videogiochi, in quanto non sfrutta appieno il mezzo. Vogliamo fare provare delle emozioni ai videogiocatori? Vogliamo parlargli di qualcosa di diverso che non siano i soliti zombi o mille uccisioni? L’unico modo è usare le meccaniche di gioco. Questo è esattamente quello che sto tentando, o sperimentando, con Murasaki Baby che, sebbene abbia una storia, voglio che sia il giocatore a auto-raccontarsela, vivendo l’esperienza dall’inizio alla fine, stabilendo il contato emotivo con Baby e traendo le proprie conclusioni.

Anche se si tratta di una storia lineare il modo in cui ciascuno di noi si raffronterà al personaggio è unico, perché è basato sulla propria personalità e sul proprio modo di essere e vivere.

E l’estetica?

L’art-direction del gioco è nata da un’estetica sugli estremi, come se ci fosse un bipolarismo emozionale tra il bianco-nero monocromatico e la tinta unita fortemente saturata. Inoltre questo è utile per dividere il “gameplay” tra quello che accade nella parte anteriore dello scenario e in quella posteriore, che intendo come due cose distinte e separate. Nel gioco possiamo cambiare il “background” dello scenario in qualsiasi momento e il fatto di avere la parte anteriore dello scenario in bianco e nero, evidentemente divisa da quella posteriore, è una scelta sia estetica che ludica. Il gioco rimanda in parte alle prime opere di Tim Burton, quelle degli anni ’80, e all’espressionismo tedesco degli anni ’30, per cui si basa su visioni surreali e grottesche.

Sono molto attratto dai contrasti che genera un universo surreale.

In Murasaki Baby anche la musica e i suoni sembrano importanti quanto le immagini

Il mio socio Gianni Ricciardi, cofondatore di Ovosonico, è l’autore delle musiche e di tutto il sound-design del gioco. Anche in questo caso il nostro approccio alla musica è legato all’emozione e vuole essere unico e originale. Consideriamo la musica uno strumento per pizzicare le corde emotive del giocatore. Abbiamo messo molta cura e attenzione nel realizzare i “soundscapes” di Murasaki Baby, inoltre ogni “background” del gioco ha un suo umore, il suo set di suoni, i suoi panorami sonori.

Il nostro minimalismo ci ha consentito inoltre che le poche note musicali del tema di Murasaki Baby siano dosate e suonino solo per sottolineare rari momenti.

La colonna sonora è interamente suonata. Abbiamo uno studio di registrazione nella nostra sede dove suoniamo e incidiamo con strumenti “veri” per creare un dizionario sonoro per il videogioco che ne amplifichi l’unicità. Il mondo di Murasaki Baby è un po’storto e arrugginito, invitante e ripugnante allo stesso tempo; c’è qualcosa che non va, al limite della follia. E’ comunque il mondo dei bambini, quindi la musica lo rappresenterà con fortissimi contrasti, accelerazioni, rallentamenti, suoni striduli.

Ci dici qualcosa sul nome Ovosonico?

Non ha particolari significati, deriva più che altro dal fatto che ci piaceva l’idea di utilizzare un uovo. Avevo immaginato, tempo addietro, l’immagine di questo uovo che canta con una vocina accelerata. Volevamo un nome che non avesse nulla a che fare con i videogiochi o con l’informatica, un logo con un design accattivante. Ci è piaciuto fin dall’inizio, sebbene non abbia nessun senso particolare.

Qual è il tuo rapporto con i videogame, da giocatore?

Non ho avuto tempo di giocare nulla, ultimamente. Fra i giochi che più mi ricordo e ho amato citerei prima di tutto Ico, e non per la somiglianza che può avere con Murasaki Baby. E’ stato uno dei primi videogiochi ad avere un potente impatto emozionale su di me. Poi ci sono videogame sopra alle righe come God Hand, un gioco di nicchia che ha venduto pochissimo, ma per me rimane una perla. Più recentemente Limbo e Journey e, tornando indietro nel tempo, la saga di Legend of Zelda ai tempi del Super Nes: A Link to the Past mi ha fatto avvicinare ai videogiochi in maniera totalitaria. Ultimamente sento un po’ la mancanza di qualcosa che mi attiri, sono davvero pochi i giochi che trattano argomenti lontani dai soliti clichè videoludici.

Forse Murasaki Baby è la mia risposta egocentrica e egoistica a questa mancanza di offerta di videogame per i miei gusti.

Sto facendo un gioco per me stesso.

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