C’è un momento nella storia recente dell’arcipelago giapponese, un minuscolo ma significativo passaggio spesso dimenticato dalle narrazioni macrostoriche, che è invece molto rivelatorio di alcune tendenze e nodi sociali e politici che ancora oggi affliggono il paese asiatico. Settanta anni fa si scoprì, a denunciare il fatto fu una giovanissima studentessa. che le elezioni locali in un villaggio nella prefettura di Shizuoka, Giappone centrale, venivano regolarmente alterate. Lo scandalo che ne seguì e che non è tanto quello elettorale come vedremo, non passò inosservato e a dare ancora più risalto all’accaduto ci pensò il regista e sceneggiatore Kaneto Shindo (Kuroneko, Onibaba, L’isola nuda) con la sua casa di produzione Kindai Eiga che nel 1953 produsse Mura Hachibu, film diretto da Yoshitama Imaizumi e scritto dallo stesso Shindo. Gli anni cinquanta rimangono ancora oggi, benché siano il decennio in cui l’Occidente scopre la cinematografia dell’arcipelago attraverso Rashomon, I racconti della luna pallida d’agosto, Sette Samurai e tutta una serie di altri capolavori, un periodo paradossalmente ancora relativamente poco esplorato.

SOPRATTUTTO per quel che riguarda le produzioni di denuncia sociale uscite dall’arcipelago in un periodo di passaggio cruciale, dopo la catastrofe della guerra e prima che il paese asiatico abbracci completamente la modernità, dagli anni sessanta in avanti. Mura hachibu in giapponese è usato per rendere ostracismo, ma letteralmente significa «otto parti (su dieci) del villaggio» una terminologia che ha le sue radici nel periodo Edo (1603 1868) quando ogni villaggio (mura) adottava un sistema di assistenza per i suoi abitanti che si basava su dieci attività comuni. Quando una persona o una famiglia veniva ostracizzata, otto di queste dieci attività di assistenza venivano meno, e solo due venivano portate avanti, funerali e aiuto durante gli incendi, quest’ultimo perché il fuoco si poteva facilmente propagare da una casa all’altra, non è inutile ricordare che le abitazioni giapponesi erano e sono ancora oggi fatte di una struttura di legno.
Il caso di Ueno, questo il nome del piccolo paese nella prefettura di Shizuoka, rimane l’esempio moderno più famoso di ostracismo di un intero villaggio verso una famiglia. Tutto comincia attorno al 1950 quando Satsuki Ishikawa, studentessa delle scuole medie, scrive sul giornale della scuola dell’abitudine da parte dei capi del villaggio di raccogliere le schede elettorali di chi non era intenzionato a votare, e così facendo, di votare per loro.

LE COPIE del giornale vengono sequestrate e bruciate, ma la ragazza non si arrende e due anni dopo scrive una lettera all’Asahi Shinbun, uno dei quotidiani nazionali più letti in Giappone, denunciando la situazione. Scoppia lo scandalo, molti vengono arrestati e sul villaggio intero scende una cappa di umiliazione nazionale e condanne da destra e manca. La reazione del paesino è compatta e tremenda, il processo di ostracismo taglia fuori la famiglia Ishikawa dalla vita sociale ed economica del paese. Gli Ishikawa sono contadini e si mantengono principalmente grazie alla coltivazione ed alla raccolta del riso, senza la rete di sostegno degli altri abitanti, l’attività agricola diventa impossibile, senza parlare poi del taglio di tutti i legami sociali. Alla fine del 1952 Satsuki è costretta a spostarsi e vivere a Tokyo e solo dopo che la morsa di vendetta del villaggio si rilassa in po’, può permettersi di ritornare dalla sua famiglia nel 1953 e continuerà negli anni il suo attivismo come membro del Fujin Minshu Kurabu, associazione democratica delle donne.

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