Tenendo fede al suo carisma e alla sua importanza, il religioso e politico sciita Muqtada Al Sadr ha giocato di anticipo e qualche giorno fa ha nominato tre personalità legate al suo movimento per la carica di premier: l’ambasciatore iracheno nel Regno Unito Jaafar al Sadr, il vicepresidente del parlamento Hasan al Kaabi e il leader sadrista Nassar al Rubai. Ha indicato anche Mustafa al Kadhimi con il quale ha buoni rapporti ma solo per cortesia politica. Nessuno crede alla riconferma del primo ministro attuale. Sadr punta alla conquista della poltrona che conta di più per uno dei suoi uomini. Intende consolidare il percorso per un Iraq libero da ciò che resta dell’occupazione militare statunitense e più indipendente dall’influenza del vicino Iran. Un percorso cominciato con le elezioni del 2018 quando il movimento sadrista con 54 seggi (su 329) divenne il principale gruppo parlamentare.  Tre anni dopo Sadr sembra avere di nuovo le maggiori probabilità di successo. In questi mesi ha tenuto sulla corda avversari e alleati. In un primo momento ha annunciato il boicottaggio del voto per poi tornare sui suoi passi. Non è chiaro quanto abbiano influito sulla retromarcia le pressioni della ex nemica Arabia saudita, con cui da qualche tempo tiene aperto il dialogo, e degli Usa che pure Sadr dopo il 2003 ha combattuto con la sua milizia, il disciolto Esercito del Mahdi.

In un paese a maggioranza sciita dove le dinastie religiose sono un riferimento centrale per l’esistenza di milioni di persone, il peso eccezionale di Sadr è frutto anche dell’importanza della sua famiglia. È il quarto figlio del famoso ayatollah Mohammad Sadeq al Sadr ed è il genero dell’ayatollah Muhammad Baqir al-Sadr. Il padre è stato assassinato da agenti dell’ex presidente Saddam Hussein e anche il suocero fu eliminato dalle autorità irachene nel 1980. Muqtada inoltre è un cugino dell’iman Musa al Sadr, tra i protagonisti del revival sciita in Libano, scomparso e probabilmente ucciso in Libia. Quasi venerato in Iraq, al Sadr è importante anche per l’Occidente e varie capitali della regione. Perché rappresenta un’alternativa ai leader di formazioni irachene più legate all’Iran, come la Fatah di Hadi al Amiri che mette insieme milizie appoggiate direttamente da Tehran (Asaib Ahl al Haq e Badr) favorevoli allo scontro, anche armato, con le truppe Usa ancora in Iraq. Al Sadr invece ha preso le distanze dai filo-iraniani più accaniti ed elogia la porta del dialogo aperta dal premier Al Kadhimi a paesi della regione che fino a qualche tempo fa erano considerati ostili.

Questa evoluzione non esclude però che il leader sciita in futuro possa mutare la sua linea e tornare a politiche più intransigenti. Molto dipenderà dal ruolo e il peso che il movimento sadrista avrà nel futuro esecutivo e che è legato anche ai risultati dei partiti sciiti più moderati che fanno capo al religioso Ammar al Hakim e agli ex primi ministri Nuri al Maliki e Haider al Abadi. Sadr vuole avere le mani sul volante dell’Iraq soprattutto in politica estera per fare del paese l’ago della bilancia regionale. Si ritiene il mediatore occulto dei colloqui in corso da qualche mese tra Arabia Saudita e Iran e del recente consolidamento dell’alleanza trilaterale con l’Egitto e la Giordania. E quel volante lo vuole a maggior ragione ora. Il futuro esecutivo dovrà affrontare le conseguenze del ritiro delle truppe combattenti Usa, il potenziamento della missione Nato e l’incognita di una possibile ripresa delle attività dello Stato islamico sempre pericoloso anche se non più organizzato come nel 2014. E non vanno sottovalutate anche le mosse delle potenti milizie delle Unità di mobilitazione popolare.

Sadr potrebbe incarnare la garanzia della stabilità dell’Iraq. Ma anche lui deve fare i conti con la frustrazione degli iracheni per le condizioni in cui sono costretti a vivere. Il suo movimento deve tenere conto di un possibile travaso di voti a favore delle tre formazioni legate al movimento Tishrin, protagonista della protesta popolare in questi ultimi due anni contro il governo, la corruzione e la mancanza di servizi. I milioni di poveri dell’Iraq, un tempo serbatoio di consenso per il sadrismo, ora guardano anche in altre direzioni.