È morto a Tbilisi Eduard Shevardnadze. Aveva 86 anni e stava molto male. Nato a Mamati, piccolo villaggio della Georgia non distante dal Mar Nero, ha forgiato il corso della storia contribuendo insieme a Mikhail Gorbaciov, di cui fu ministro degli esteri, a porre fine alla guerra fredda. Ma non tutti lo ricordano sulla base di questi risultati, declinati al positivo.

C’è anche chi ritiene che Shevardnadze sia con Gorbaciov tra i responsabili di un’altra fine, interpretata in senso negativo: quella dell’Unione sovietica. Un terremoto strategico sollecitato dalla perestrojka e dalla glasnost, i due pilastri su cui si basava la politica dei comunisti riformisti che nel 1985 si insediarono al Cremlino. Shevardnadze scalò la nomenclatura nella Georgia sovietica, si trasferì a Mosca nel 1985 chiamato da Gorbaciov. Tornò a Tbilisi dopo il crollo del comunismo e divenne presidente della Georgia, fintanto che nel 2003 non fu sbattuto fuori da palazzo dalla rivoluzione delle rose, la prima delle rivolte colorate che nel giro di due anni scombussolarono l’arco post-sovietico.

Classe 1928, ha iniziato a fare politica in Georgia, dove nel 1956 divenne il segretario del Komsomol, la gioventù comunista. Negli anni ’60 si occupò di sicurezza e nel 1972 fu nominato primo segretario del partito a Tbilisi. La stessa carica che proprio in quegli anni, nel distretto russo di Stavropol, poco più a nord, aveva Mikhail Gorbaciov. I due, che si conobbero ai tempi del Komsomol, iniziarono a frequentarsi sempre di più e a convergere sull’idea che l’Urss aveva bisogno di una terapia d’urto. Attesero che il tempo facesse il suo corso, portandosi via uno dopo l’altro i vecchi dirigenti. Nel 1985, saliti al potere dopo la morte di Kostantin Chernenko, diedero corpo ai loro progetti, sdoganando le riforme in chiave domestica (Shevardnadze aveva un approccio persino più radicale di Gorbaciov) e cercando di alleggerire il confronto con l’occidente. Anche perché stava divenendo insostenibile dal punto di vista finanziario. Ci furono quindi il ritiro dall’Afghanistan e gli accordi con l’amministrazione Reagan. Fu inoltre partorito il concetto della «casa comune europea», sorretto dalla convinzione che i sistemi comunisti sovietico e dei paesi satelliti fossero riformabili. Non andò così. Nel 1989 implosero i regimi di Varsavia, Praga, Budapest, Bucarest, Sofia e Berlino Est, preludio alla riunificazione tedesca del 1990, sulla quale Mosca diede il disco verde. L’anno dopo l’Urss cessò di esistere. Shevardnadze tornò in Georgia, iniziando una seconda carriera politica. Fu chiamato a mettere un po’ di toppe. La disgregazione sovietica aprì i conflitti in Abkhazia e Ossezia del sud, intrecciandoli con una guerra civile. Shevardnadze fu messo a capo del consiglio di stato, organo che assunse il potere in quella fase turbolenta, traghettando verso una relativa stabilizzazione. Nel 1995 Shevardnadze fu eletto presidente. Fece qualche riforma, scampò a due attentati (1995 e 1998), negoziò dei compromessi.

Riuscì a evitare il collasso, ma costruì un sistema corrottissimo, lubrificandolo con quei metodi alla sovietica che lui stesso, quando fu al fianco di Gorbaciov, condannò severamente. Il tutto gli si ritorse contro nel 2003, quando Mikhail Saakashvili, a colpi di piazza e con la sponda degli occidentali, lo cacciò senza troppi indugi. Ma questa è un’altra storia. La notizia è che ieri Eduard Shevardnadze è morto.