«Il primo peccato, l’ultima tentazione», dice lo slogan della nota pubblicità di un frutto. Sulla sinistra del manifesto appare una bionda e seducente Eva che ha i tratti di un dipinto nordico del Cinquecento. Ha appena morso la mela ma, incurante del serpente che le penzola vicino al viso, il suo sguardo è già rivolto a una «più invitante» Melinda. Nello stesso anno, siamo nel 1990, Eva viene sostituita dalla strega disneyana di Biancaneve che regge una provocante mela rossa. Accanto a lei, sospesa nel vuoto, c’è un’altra Melinda. Lo slogan proclama: «La più bella del reame, la più buona della repubblica». L’effetto è elegante, spontaneo, quasi naïf. Le immagini evocano una scena, suscitano desideri, seducono. Poiché illustrare non significa soltanto spiegare, ma, secondo l’etimologia, vuol dire anche mettere i lustri, cioè lumi e dorature. Dare splendore, ma anche visualizzare un’idea, interpretare in chiave visiva.
L’autore si chiama Giovanni Mulazzani (1941-2011). Le Edizioni Corraini gli hanno dedicato una mostra e un libro-catalogo a cura di Marta Sironi e Silvia Sfligiotti, Giovanni Mulazzani l’illustrazione al centro Editoria, pubblicità e animazione (pp. 144, e 22,00). Il libro scandisce le diverse fasi della sua vita professionale e insieme ne mostra lo stile asistematico, intermittente e discontinuo. In una parola: eclettico, sospeso tra i molteplici universi in cui si muove, la bellezza e l’aberrazione, Eva e la strega, la pittura e i cartoons. «Non mi considero un artista puro, che opera senza condizionamenti esterni alla sua creatività», dice di sé. E la sua biografia lo conferma.
Nasce a Bottega, una frazione di Vallefoglia, nelle Marche, e frequenta la Scuola del Libro di Urbino. I suoi maestri sono Osvaldo Licini, Saul Steinberg e Jean Dubuffet, ma il suo sguardo si nutre anche di suggestioni letterarie. Illustra I racconti straordinari di Edgar Allan Poe e Il naso di Gogol’, pubblicato dalla Scuola come saggio dell’anno, nel 1961. L’incontro fondamentale avviene un anno dopo a Milano, quando Mulazzani realizza per Bruno Bozzetto le scenografie di West and Soda (’65) e Vip mio fratello superuomo (’68). Le prospettive spesso sballate e le macchie di colore ottenute con il Vinavil riuscivano a rendere molto bene l’atmosfera calda che aveva in mente per il suo West, ricorda Bozzetto. Il ’70 è l’anno della svolta. Insieme a sei amici, sul modello del Push Pin di New York, Mulazzani fonda lo Studio Ink, a cui seguirà la costituzione della Mix Film, da cui proviene la celebre pubblicità delle caramelle Tabù.
Dal 1971 realizza le copertine degli «Oscar Ragazzi» e dal ’74, sempre per la Mondadori, quelle dei polizieschi del commissario Sanantonio. Allo stile elegante e spontaneo della collana «Kitty. Il libro da passeggio», destinato alle giovanissime lettrici, si contrappone un erotismo esplicito fatto di svolazzi e prospettive vorticose, realizzato per i lettori di Sanantonio, o più levigato, per quelli di «Playboy», mentre le copertine per il Club degli Editori, dalla metà degli anni ottanta, si distinguono per un iperrealismo quasi cinematografico. L’occhio di Mulazzani è attento alla qualità della luce, scrive Guido Scarabottolo, è un occhio fotografico. Lo provano le Polaroid che i membri dello Studio Ink si scattavano fra loro, per trarne poi spunto per le copertine dei gialli settimanali della Rizzoli, o l’archivio delle pagine delle riviste illustrate, che Mulazzani conservava come fonte di ispirazione visiva.
Anche l’avvento del digitale non costituisce un ostacolo, come testimoniano le illustrazioni per i libri di Guanda, attraverso le quali egli recupera le propensioni pittoriche e materiche degli esordi. Più l’immagine si sporge dalle copertine, più si spalanca il territorio alle sue spalle. Sembra un riflesso, che è allo stesso tempo una riflessione, un vedere in trasparenza, come accade per la copertina de Il bar sotto il mare di Stefano Benni, dove il volto del vecchio con la gardenia che scende nel mare ha le fattezze di Sigmund Freud.
Mulazzani maschera il processo del fare nel suo stesso fare. È un artigiano, non un artista. Forse è per questo che tra le matrici e le suggestioni più agevolmente leggibili, oltre alle affiches della Belle Époque, le atmosfere alla Hopper e i fumetti, risaltano segni e impronte della lezione di Magritte. Mulazzani, infatti, ricomincia da una realtà che è divenuta tale grazie all’immaginario dell’artista.
La tecnica è la sua arte, proprio come la riproducibilità. Fare, per l’illustratore pesarese, coincide con ciò che i greci chiamavano héuresis e i latini inventio, ossia cercare e trovare, più che ideare qualcosa che prima non esisteva. L’immagine deve essere «concettualmente incompleta, volutamente provvisoria», il «frammento minimo di un racconto che l’osservatore è portato a desiderare di ricostruire», dice lo stesso illustratore. Chissà se la pensava come Bruno Munari, «ognuno vede quel che sa» e «riconosce quello che già conosce». Forse l’eclettismo di Mulazzani sta tutto qui. Anche questa può essere una lezione di stile.