Una malattia dell’America. Così il grande Kenneth Tynan definisce la portata della comicità di Lenny Bruce. Un personaggio leggendario a cui più volte la cultura americana è tornata nei cinquant’anni e passa che intercorrono dalla sua prematura scomparsa, avvenuta il 3 agosto 1966 a causa di un’overdose di morfina.
Ne sono una testimonianza i numerosi omaggi, dalle bellissime pagine che gli dedica Don De Lillo in Underworld alle canzoni, alle citazioni fino, diremmo, a Le avventure di Mrs Maisel. In questa serie tv Lenny diventa una sorta di nume tutelare, di maestro di irriverenza e guasconeria, ma soprattutto del palcoscenico utilizzato come veicolo di contagio, contro il pensiero comune, il buon senso, gli stili di vita conformi alla morale dominante, non solo quella borghese, ma anche quella «da Greenwich Village», radical-esistenzialista.
La giovane ragazza lo conosce al termine della notte che gli cambia la vita, quando, dopo esser scappata di casa non appena il marito, aspirante quanto fallito attore comico, le confessa di volerla lasciare per un’altra. Mrs Maisel, fugge via e torna in quel fumoso ed efferato locale che non aveva accolto affatto bene la performance del suo ex coniuge per piombare sul palco e inondarlo della sua rabbia, mettendo a nudo tutto, le menzogne, l’insofferenza, la tristezza, però facendo ridere, anzi travolgendo tutto e tutti, non rendendosi conto, nella furia del fiume in piena di star insultando due uomini in divisa. I quali ovviamente la prendono e la portano via. Passa così la sua prima notte in carcere, notte in cui incontra Lenny che di notti in gattabuia ne ha già passate parecchie in vita sua e aspetta come se fosse ad una normale fila alla posta che qualcuno venga a pagare la cauzione e a tirarlo fuori.
È il primo di una serie di incontri in cui il comico assume la valenza di chi insegna a vivere secondo le regole che da solo si è imposto. Un nume tutelare da tenere però a debita distanza per non venirne soverchiati, da frequentare a piccolissime dosi.
Prodotta da Amazon Video, scritta e diretta da Amy Sherman-Palladino, The Marvelous Mrs. Maisel ci mostra l’effetto dirompente non solo nel mondo della comicità ma anche nella società americana di quel fulmine chiamato Lenny Bruce.
Per cui oggi può tornare più che mai utile tornare ad inseguirne la formazione e il pensiero attraverso la sua autobiografia appena ripubblicata da Bompiani con in più, rispetto all’edizione originale del 1974, due contributi di Lewis Black e Howard Reich. Come parlare sporco e influenzare la gente è dunque più che un’ottima occasione per tornare sulle orme di questo personaggio sul quale nel frattempo si sono depositati talmente tanti aggettivi che oggi risulta superfluo cercare di definirlo. Bastano oltretutto le sue parole a farci immergere in una vis attoriale inesausta, in una lingua che non riesce a trovare requie.
L’incipit del libro già la dice lunga, anche a quanti non hanno visto il film del 1974, con, nei panni del protagonista Dustin Hoffmann: « I filippini vengono subito; gli uomini di colore hanno una costituzione fisica abnorme («Il loro uccello sembra il braccio d’un bambino che stringe in pugno una mela»); le donne coi capelli corti sono lesbiche; se non vuoi che il tuo uomo ti pianti, strofinati un po’ d’allume sulla passera.»
Sono parole che il giovanissimo Lenny, appena un bambino, sente dalla signora Janesky, una vicina venuta a trovare la mamma e ad intrattenerla parlando del sesso femminile, inserendo nella sua già torrenziale immaginazione la problematiche dell’irrigazione vaginale e così via.
Il racconto di quest’infanzia già parecchio turbata da pensieri osceni, l’immagine di questi adulti sfrenati, ricorda in un certo senso quella rievocata dal Celine di Morte a credito.
Siamo oltretutto anche negli stessi in cui il francese scriveva il suo secondo romanzo quelli in cui il giovane Lenny fa le sue prime esperienze di vita, i primi lavoretti, come ad esempio strappare le erbacce, immaginandosi però nel frattempo non come uno qualsiasi ma come Henry Fonda. Poi arriva anche la guerra, l’arruolamento in marina, dove però si porta da leggere nientemeno che la Psychopatia sexualis di Krafft-Ebing.
In Come parlare sporco e influenzare la gente Lenny racconta anche il suo primo arresto per oscenità, a San Francisco, e il processo che ne derivò, per aver pronunciato una parola di nove lettere che sarebbe ricorsa parecchie volte nelle sue performances.
Un capitolo a parte lo meriterebbero le parole dedicate a New York, un luogo cruciale per Lenny che fa tutt’uno con la sua identità ebraica: «Per me, se uno vive a New York o in un’altra grande città, uno è ebreo. Non importa se anche sei cattolico: se abiti a New York sei ebreo. Se abiti a Butte nel Montana, allora sei goyish (gentile, ndr) anche se sei ebreo.»
Newyorchese significa ebreo, ma in realtà Lenny sta dicendo cosmopolita, libero, libertino. Essere in grado di esplorare ogni cosa, ecco, forse questo voleva per lui dire essere newyorchesi e giudii (sempre per usare le sue parole) allo stesso tempo.
E’ stato così una sorta di tragico scherzo del destino che il suo corpo in disfacimento sia stato ritrovato a molte migliaia di chilometri da questa sua sorta di patria dello spirito, all’8825 di Hollywood Boulevard, Los Angeles.