Preannunciata da una settimana di dichiarazioni e ultimatum, ieri è arrivata la crisi di governo in Svezia. Come promesso, il Vänsterpartiet (partito di sinistra) ha presentato una mozione di sfiducia nei confronti del premier socialdemocratico Stefan Löfven, in polemica con i progetti di riforma che mirano a liberalizzare gli affitti superando l’attuale regime di contrattazione tra le società immobiliari e l’Unione degli Inquilini. Lo scorso autunno, un’analoga controversia su un progetto di riforma del mercato del lavoro era rientrata in seguito a un accordo di compromesso tra le parti sociali. Questa volta il tentativo in extremis del governo di coinvolgere i rappresentanti di inquilini e proprietari non è riuscito a scongiurare la crisi.

Il cosiddetto “punto 44” dell’accordo di governo, che prefigurava appunto una parziale liberalizzazione del mercato degli affitti, è uno degli elementi più controversi e impopolari che Löfven aveva dovuto accettare dopo le ultime elezioni, in cambio del sostegno degli alleati centristi e liberali. Al voto di ieri, l’astensione di questi ultimi non è bastata, insieme al voto contrario di socialdemocratici e verdi, per salvare il governo: con i 181 voti (su un totale di 349 parlamentari) della sinistra e delle opposizioni di destra, Löfven è stato sfiduciato.

Il parlamento si riuniva ieri in forma plenaria per la prima volta dall’inizio della pandemia, con tutti i deputati dotati di mascherina per minimizzare il rischio di contagio: una scena un po’ paradossale, visto lo scetticismo istituzionale nei confronti delle mascherine e i diversi casi in cui i lavoratori hanno dovuto lottare in passato per ottenere l’autorizzazione a indossarle sul posto di lavoro. Il voto di ieri è stato definito “storico”, perché analoghe mozioni di sfiducia in passato si erano sempre risolte con una riconferma, o con le dimissioni anticipate, dei ministri oggetto del voto.

Löfven ha annunciato che consulterà gli alleati prima di decidere il da farsi. Gli scenari che si aprono sono essenzialmente due: consultazioni per formare un nuovo governo, o elezioni anticipate. Queste ultime si aggiungerebbero alle elezioni già previste per settembre 2022, senza sostituirle: il nuovo parlamento durerebbe quindi in carica soltanto per un anno, ed è probabile che Löfven voglia evitare quella che verrebbe percepita come una spesa inutile.

Intanto il Partito di Sinistra ha lanciato segnali distensivi, appoggiando la riconferma di Löfven purché il punto 44 sia cancellato dal programma.

Dato lo spostamento a destra dei liberali, è però improbabile che si riformi la stessa maggioranza di prima. Löfven potrebbe fare a meno dei liberali se accettasse una collaborazione più formale proprio con il Partito di Sinistra, soprattutto in vista della prossima legge di bilancio: una concessione difficile da mandare giù per il governo, e soprattutto per gli alleati centristi, che incolpano «i partiti populisti ed estremisti» (includendo la sinistra) della crisi.