È la piazza più grande di Roma e da venti anni almeno il quartiere più multietnico della capitale. Proprio lì è nata l’Orchestra di Piazza Vittorio, l’ensemble che è stato casa, rifugio e lavoro per tanti musicisti che avevano deciso di abbandonare il proprio paese per trasferirsi da noi, una idea originale d’integrazione umana e artistica, che è stata replicata in altri luoghi e altre città. Sotto quei portici e dentro quei palazzoni umbertini batte il cuore pulsante di una città aperta, solidale e tollerante.

PERÒ, al tramonto, ispirati dalla presenza della Porta Magica, un monumento massonico e misterioso, al centro di quel vecchio mercato alimentare poi trasformato nei rigogliosi giardini, al fischietto di chiusura del custode va in scena una fiaba meravigliosa, un singspiel ideato da Mozart nel 1791 e diventato una fantastica sarabanda pop multilingue, Il flauto magico di Piazza Vittorio, un film di Mario Tronco e Gianfranco Cabiddu, presentato alla scorsa festa del cinema di Roma e da oggi nelle sale, grazie alla Paco Cinema che ha prodotto il film insieme con Rai Cinema e società francesi ( attualmente la superband nomade lavora principalmente in terra transalpina, da Lione a Nantes). Già da tempo la nutrita formazione aveva portato il Flauto Magico in teatro («su suggerimento di Daniele Abbado che ci chiese un Flauto Magico per le strade di Reggio Emilia, un’impresa che mi sembrò pazza – confessa Tronco – visto che i nostri musicisti non leggono la musica ma lavorando su arie, fischiando le melodie e facendo errori ce la facemmo») e rielaborato le musiche in un disco pubblicato nel 2008, dove l’eredità mozartiana scolorava, con grande naturalezza, in reggae, jazz, intrecci ritmici africani e orientali, mentre gli archi arieggiavano la partitura originale.

CONCEPITA come una favola tramandata in forma orale e giunta fino a noi attraverso le culture di appartenenza dei vari musicisti, l’Orchestra è riuscita a trasformare il Flauto Magico in una rivisitazione musicale stupefacente e ricca di emozioni, una portentosa esperienza visiva dove Papageno (El Hadji Yeri Samb), il principe Tamino (Ernesto Lopez Maturell) e la giovane Pamina (Violetta Zironi) devono compiere un viaggio iniziatico e superare le diverse prove per passare dalle tenebre dell’inganno alla luce della sapienza, fronteggiando una regina della notte semipunk (Petra Maagoni) e un coltissimo sovrano Sarastro (Fabrizio Bentivoglio) alle prese col suo laboratorio alchemico, omaggiando Iside e Osiride, che testimoniavano -già nell’originale- della forte attrazione del geniale compositore austriaco verso gli esoterici scenari orientali.

IMMERSA in una nebbiolina violacea durante le fasi notturne o dentro un giallino chiarore diurno, ogni volta scenari sorprendenti talvolta iperrealisti, che rimandano «alle tecniche del teatro barocco e lirico europeo, con le sue macchine teatrali e i suoi trucchi artigianali, fondali dipinti e arredi poveri di cartapesta, da armonizzare visivamente con l’aiuto delle moderne tecniche cinematografiche», con una tenera artigianalità anche nell’impiego degli effetti visuali e negli sfarzosi colorati costumi (sublime il cappello bicorno stradecorato di Papageno) e scenografie tropicali o lunari. La vicenda si dipana con talismani e medaglioni, coreografia acrobatiche di gruppo (sulla falsariga di un videoclip artistico) e danze arabeggianti, sguardi seducenti negli ascensori e trappole lungo il cammino, insomma il felice incontro di culture antiche e tradizioni diverse, in questo inno all’amore universale e alla gioia di vivere, dedicato ai migranti di tutto il mondo con l’iscrizione in epigrafe sotto la Statua della Libertà. Info sulle sale che proiettano il film: www.facebook.com/paco.cinematografica