Jon Favreau è un cineasta difficile da inquadrare. Dagli esordi rigorosamente indie sino a regista di blockbuster e produttore televisivo, ha quasi sempre messo in campo una notevole intelligenza cinematografica, soprattutto nella gestione dei supereroi dell’universo Marvel. Il capostipite della serie Iron Man è a tutt’oggi uno dei migliori film dedicati ai personaggi prodotti dalla casa delle idee. Curiosamente, il meccanismo s’inceppa all’altezza di Cowboys & Aliens, bizzarra fantasmagoria sci-fi tratta dal fumetto di Scott Mitchell Rosenberg. Il film risulta un flop clamoroso, rispetto all’investimento iniziale e nonostante un cast d’alto profilo, e forse contribuisce all’allontanamento di Favreau dal franchise di Iron Man anche se il regista riesce a conservare il credito di produttore esecutivo per Avengers e Iron Man 3 (non senza velenose code polemiche).

Correndo intelligentemente ai ripari, con il film successivo Favreau cambia radicalmente genere riavvicinandosi a un cinema a budget contenuto, dal vago sapore indie. Chef – La ricetta perfetta, dolciastra commedia sentimentale, nonostante l’abbondanza di luoghi comuni e l’eccesso di zuccheri ristabilisce le sue quotazioni.

Il libro della giungla, film per il quale ha ricoperto anche il ruolo di produttore, è l’ennesima dimostrazione che esistono in realtà blockbuster e… blockbuster. Favreau, proprio come nel caso di Iron Man, riesce a gestire macchine complesse, evidenziando una comprensione articolata dei meccanismi narrativi e delle implicazioni mitologiche dei personaggi affrontati.

Il libro della giungla, in questo senso, è l’esemplificazione dell’approccio di Favreau a un’idea di spettacolarità e racconto caratteristico di quanto oggi si definisce post-cinema. Se si ha la pazienza di restare seduti durante gli interminabili titoli di coda (un piccolo film a parte dove è possibile ascoltare anche l’inconfondibile voce di Dr. John) si è travolti dalle centinaia di nomi (migliaia?) che scorrono e che hanno contribuito ai numerosi settori tecnici del film. Inevitabile chiedersi come sia cambiato il lavoro del cineasta di fronte al moltiplicarsi esponenziale della complessità di un film (è ancora solo un film?) come Il libro della giungla.

Probabilmente l’abilità di Jon Favreau sta proprio nell’utilizzare al meglio tutto quanto uno studio come la Disney riesce a mettere a sua completa disposizione e contemporaneamente a dissimularne la presenza sullo schermo. Restare attaccato al racconto e ai personaggi, evitando d’essere ipnotizzato dalla tecnologia. Dal punto di vista strettamente visivo il film è stupefacente. Basta osservare come il vento accarezza il pelo dei lupi o la spettacolare arrampicata delle scimmie che rapiscono Mowgli.

Il libro della giungla è probabilmente un vertice del fotorealismo contemporaneo, senza contare lo straordinario lavoro sulla profondità di campo e la prospettiva favorito da un 3D assolutamente organico al racconto.

La sceneggiatura di Justin Marks, pur restando fedele all’adattamento del cartone Disney di Wolfgang Reitherman, che si concentrava sui primi due racconti del libro di Rudyard Kipling, affronta con sguardo più adulto le problematiche relative al rapporto fra umani e natura. Il romanzo di formazione di Mowgli diventa il segno di un esilio. Mowgli è un corpo in trasformazione, oscillante fra due mondi e due regni: né uomo né bambino, né animale né essere umano. La vulnerabilità del corpo di Mowgli, interpretato dal sorprendente Neel Sethi, la cui somiglianza con Sabù (protagonista del film di Zoltán Korda del 1942) è a dir poco singolare, rende alla perfezione il senso di un desiderio archetipico di appartenere a un mondo al quale non si potrà mai aderire sino in fondo. Ed è questo lancinante dolore, evidente nell’addio alla lupa Raksha (uno dei momenti più commoventi del film), che Favreau dimostra di avere compreso le dinamiche di fondo del libro e della poetica di Kipling, autore riscattato da T.S. Eliot che lo considerava «uno scrittore impossibile da sminuire» (cui invece George Orwell rimproverava di avere glorificato l’impero britannico).

Il libro della giungla riesce nell’impresa di essere un film per bambini in grado di non banalizzare il proprio pubblico di riferimento e di offrirsi come opera per affrontare le trasformazioni cui va incontro il cinema contemporaneo.