Mounir Satouri, eurodeputato del gruppo dei Verdi, esponente del partito francese Europe Ecologie-Les Verts, è stato il relatore della risoluzione che il Parlamento europeo ha votato nel dicembre scorso sull’Egitto.

La risoluzione chiede un embargo e sanzioni contro i responsabili egiziani di violazioni dei diritti dell’uomo. Si rivolge alle istituzioni europee ma anche agli Stati membri. Quale effetto può avere secondo lei sull’attitudine europea, finora abbastanza debole nei confronti dell’Egitto, malgrado le evidenti violazioni commesse?

Lo scopo di questa risoluzione è di continuare a tenere sotto pressione il regime egiziano, ma anche i Paesi – come la Francia o la Germania – che rifiutano di porre il rispetto dei diritti umani come condizione imprescindibile per gli scambi finanziari. Deploro d’altronde amaramente le affermazioni del presidente francese, che ha rifiutato apertamente di porre i diritti umani come condizione. Questa ammissione, fatta di fronte alle tv, è pericolosa. Relega i diritti umani a soggetto di secondo piano, trasformandosi in un via libera alla loro violazione. Purtroppo, sappiamo che i diritti umani pesano sempre poco di fronte a certe operazioni economiche fruttuose, e l’accoglienza al dittatore al-Sisi da parte di Emmanuel Macron lo prova. Soprattutto di fronte alle vendite di armi: comincia a venir fuori che il governo francese avrebbe firmato un accordo per 700 milioni di euro di armi da vendere in occasione della visita di Sisi. Il Parlamento ha deciso di adottare questa risoluzione per riaccendere i riflettori sulle violenze in Egitto e condannare indirettamente l’attitudine francese, secondo me. Poiché questo nuoce a tutta una politica europea coerente verso l’Egitto.

In effetti, molti Paesi hanno relazioni stabili con Il Cairo, soprattutto nel campo della vendita di armi, e non sembrano intenzionati a ridurle. Nemmeno dopo la morte in custodia di un cittadino francese, Eric Lang. In questo caso, la Francia non ha fatto particolari pressioni sul Cairo. Quali le ragioni? C’entra la lotta al terrorismo islamista?

L’Egitto è un Paese potente e stabile rispetto alla zona del Medioriente. I Paesi che commerciano con Il Cairo e l’Europa stessa hanno bisogno di questo Paese, che sfrutta la situazione, ne usa e abusa. Le operazioni commerciali hanno anch’esse la meglio, mentre la lotta al terrorismo è un argomento, come la lotta contro le migrazioni che l’Europa si è messa in testa di condurre. Ma tutti questi motivi non possono essere considerati delle buone ragioni e l’Europa ha torto a lasciarsi trascinare. Così facendo, abbandona la difesa della democrazia, dei diritti umani, dei valori stessi che la fondano e fanno la sua grandezza. A lungo termine è completamente controproduttivo, e lo si vede d’altronde con quello che succede in Libia, per esempio, dove la Francia si è resa complice delle violenze di Haftar, e l’Europa del trattamento inumano dei migranti. Governi come quello egiziano se sono messi con le spalle al muro cercano di trattenersi dall’agire male. Ma non si limitano se gli viene detto che ne hanno tutti i diritti. L’Europa ha una forte responsabilità e si rende colpevole, anche indirettamente, del sostegno a una dittatura, tanto più che gli Stati membri finanziano le armi che servono a reprimere le folle. Difatti, tra le armi vendute alle forze armate egiziane, molte finiscono nelle mani delle forze di sicurezza interne. Non possiamo chiudere gli occhi o far finta di non sapere.

Il governo italiano, ufficiosamente, ha deplorato la mancanza di solidarietà da parte degli Stati europei dopo il caso Regeni. Contemporaneamente, l’Italia teme una rottura delle relazioni con Il Cairo, poiché altri Paesi potrebbero sostituire Roma in campi economici importanti, come per esempio l’energia. È una delle ragioni dell’assenza di pressioni europee sull’Egitto?

Certo, è così. L’Egitto ha quasi 100 milioni di abitanti. È quindi un mercato economico importante per l’Europa. Questa risoluzione è interessante, ma è anche destinata a mettere un velo di pudore sull’assenza di reali pressioni sull’Egitto. Il caso drammatico di Giulio Regeni ha svegliato le coscienze in Italia, ma gli altri Paesi non hanno fatto blocco. Ma l’Italia non può e non deve essere sola a difendere i propri diritti. Speriamo che la sensibilizzazione delle coscienze dappertutto in Europa aiuti, ma è certo che non bisogna abbassare la guardia, e sostenere il più possibile i giornalisti, gli avvocati e i difensori dei diritti egiziani.

In ambito europeo vede da parte di alcuni gruppi politici una maggiore volontà di non legittimare più il regime egiziano?

Ci sono dei gruppi politici che difendono sistematicamente i diritti umani, certo, e altri che sono meno attenti sulle violazioni quando ci sono in mezzo degli interessi. Il gruppo Identità e democrazia (estrema destra, a cui aderiscono in Francia il Rassemblement national e in Italia la Lega, ndr) ha votato contro la risoluzione, in sostegno totale alla dittatura, senza sorpresa e senza vergogna. Il tappeto rosso srotolato da Macron al regime egiziano ha avuto il merito di far schierare il gruppo conservatore con alcune delle nostre critiche, in particolare quella di aver dato la Legion d’honneur a al-Sisi. Significa disonorare tutti coloro che hanno ricevuto questa medaglia a giusto titolo.