Era il 1980 quando all’interno di Millepiani, Deleuze e Guattari consegnavano il concetto di rizoma che oltre alla fondamentale perdita della gerarchia forniva una visione di pensiero e di mondo privi di centralità. La perdita della centralità come luogo, non solo fisico, ma appunto territoriale-logico, è necessaria per rileggere alcune delle correnti di studio più diffuse in questi anni come gli animal studies. È infatti decentralizzando, deterritorializzando la visione antispecista che la si può guardare in un’ottica diversa, decostruita, nuova e sessualmente più fluida.
Ed è a partire da questo che si può leggere Divenire invertebrato – Dalla Grande Scimmia all’antispecismo, volume curato da Massimo Filippi e Enrico Monacelli e pubblicato per ombre corte, con la prefazione di Alessandro Dal Lago (pp. 159, euro 15).

SIN DAL TITOLO l’impronta di Deleuze sulla lettura e rilettura dell’antispecismo è chiara: i saggi contenuti partono dall’idea di un «antispecismo viscido» pensato per «pro/muovere una visione antispecista, ancora in fieri, capace di trarre ispirazione da alcune fra le più vitali e vivaci correnti del pensiero critico contemporaneo, dal realismo speculativo alle teorie materialiste derivate dal decostruzionismo derridiano, dal multiculturalismo prospettivista alle ontologie immanentiste di stampo deleuziano o laurelliano».

Il libro propone questa visione attraverso una pluralità di voci e stili che si alternano e costruiscono un pensiero critico complesso e multiforme. I saggi contenuti e che vedono autori come Claudio Kulesko, China Miéville, Eugene Thacker, Karen Barad, Eva Hayward, Jami Winstein, Bogna M. Konior, Yvette Granata e Dagmar Van Engen, consentono a chi legge una costruzione del proprio punto di vista in una accezione fluida, aprono porte e conducono spesso verso nuove letture, dai classici del pensiero filosofico, a grandi pensatori contemporanei. È necessario, infatti, capire e ampliare l’idea di antispecismo al momento dominante, ed è necessario farlo attraverso la contaminazione, iniziando a interpretare il concetto di natura come un processo aperto, non come un insieme finito con un punto di partenza e quindi con un punto di arrivo. Questo passaggio avviene, appunto, anche con la perdita di centralità della visione di animale (termine fin troppo generico, come ci insegna Derrida) vertebrato e sessualmente normalizzato.

COSÌ I SAGGI presenti iniziano a popolarsi di creature viventi e non, che vanno dal mostro, alla pfiesteria, dagli invertebrati acquatici agli atomi o alle amebe, specie che diventano difficilmente classificabili attraverso la lente di una ontologia classica, ma sono leggibili, appunto, attraverso una nuova prospettiva di ontologizzazione trans, scrivono, ad esempio, Eva Hayward e Jami Winstein: «Se trans* è ontologico, lo è in quanto movimento che porta l’essere a esistere. In altre parole, trans* non è una cosa o un essere, ma è il processo attraverso cui la cosalità e l’essere si costituiscono».

ED ECCO CHE L’APERTURA dei concetti e delle definizioni sulle quali poggiano gli animal studies, porta a una visione più ampia e complessiva di quella che è l’essenza di tutto ciò che non è incasellabile in un’ottica binaria. Quello che viene proposto in questo volume è un processo di interpretazione che ha tra le sue possibilità la decostruzione come anche il divenire con, che muove da Derrida a Donna Haraway, dalla «tranimalità» alla sessualità compresa in generi fantastici e non umani. Una impronta queer che sottrae l’essere vivente dalle standardizzazioni e dai binarismi.
Filippi e Monacelli hanno costruito una raccolta di saggi che ribalta le definizioni spesso legate a visioni confortanti dell’antispecismo, riportando al centro animali invertebrati, viscidi, ripugnanti e soprattutto contaminando con una visione fluida lo spazio critico e d’analisi.

«DIVENIRE INVERTEBRATO» raccoglie la pluralità e la riconsegna in una forma ibrida e sempre mutevole, mostrando come le questioni antispeciste, quelle sessuali e quelle identitarie, oltre alle questioni politiche che da questi studi derivano, sono tutte legate assieme in maniera indissolubile, ed è in questi intrecci disciplinari che bisogna indagare per non arrestare l’analisi a ciò che più conforta l’essere umano.