Ieri Russia e Ucraina si sono formalmente impegnate a lavorare a una tregua bilaterale che fermi i combattimenti nell’est dell’ex repubblica sovietica. Sono iniziati a metà aprile. Finora ci sono state quattrocento vittime. Migliaia gli sfollati, riparati sia nell’ovest del paese che in Russia. È stato l’Eliseo a riportare la notizia, al termine di un colloquio telefonico a quattro, seguito a quello di domenica, tra il presidente francese Francois Hollande, la cancelliera tedesca Angela Merkel e i capi di stato di Ucraina e Russia, Petro Poroshenko e Vladimir Putin.

L’impressione è che si vada verso un ulteriore prolungamento del cessate il fuoco, che terminava alle dieci di ieri sera, orario di Kiev. Ma non si può escludere, tuttavia, la fumata nera.

La tregua era inizialmente entrata in vigore il 20 giugno, promossa nell’ambito del piano di pace, in quindici punti, presentato da Poroshenko. I ribelli filorussi l’avevano accettata. Mosca, da parte sua, aveva revocato il decreto con cui a inizio marzo aveva autorizzato le forze armate a sconfinare in Ucraina. Allo scadere, venerdì scorso, la misura è stata spostata in avanti di altri tre giorni. Fino alla nuova versione, negoziata ieri. Al momento non si conosce l’eventuale scadenza.
Si sanno invece i punti su cui gli ucraini e i russi, facendo le veci dei ribelli dell’est, intendono lavorare. Il principale riguarda il controllo della frontiera. Poroshenko l’aveva messo in cima alla sua agenda di pace, ribadendo ancora una volta l’idea che dal tratto di confine gestito dai ribelli transitano armi a volontà in arrivo dalla Russia, che ha però sempre negato la cosa. Ieri, in ogni caso, s’è deciso di creare un meccanismo di controllo al confine, monitorato dall’Osce. Si procederà inoltre a uno scambio di prigionieri. Infine, i separatisti filorussi dovrebbero essere inclusi nei negoziati. Condizione più volte fatta presente da Mosca.

Tutto, comunque va verificato alla prova dei fatti. Intanto bisogna capire che succederà sul terreno. Malgrado la tregua, in questi giorni le armi non hanno taciuto. Nelle ultime ore sono morti cinque soldati ucraini e un operatore tv, Anatoly Klyan, il terzo giornalista russo a perdere la vita in Ucraina. Assieme a dei colleghi stava visitando il fronte di Donetsk. L’autobus a bordo del quale viaggiava è finito sotto il fuoco delle forze ucraine. Mosca ha accusato Kiev di non rispettare la tregua. Kiev ha fatto lo stesso con Mosca e i ribelli, in relazione alla morte dei suoi cinque militari.

Se il cessate il fuoco dovesse reggere occorrerà vedere, in un secondo tempo, che piega potrebbero prendere i negoziati tra Kiev, Mosca e i ribelli. Lo snodo critico è il quadro costituzionale. Il Cremlino vuole l’assetto federale. Ma Poroshenko, che lo vede come una balcanizzazione, propone invece un forte decentramento. Formula presente nel suo piano di pace.

La tregua, se tale sarà, passa da altre incognite. Poroshenko, consapevole che il conflitto è economicamente e politicamente insostenibile, deve fare i conti con le pressioni provenienti dal campo nazionalista, una cui parte vuole proseguire lo scontro con i filorussi e ritiene che la recente firma degli Accordi di associazioni con l’Ue non sia affatto una garanzia sul futuro del paese. Domenica qualche migliaio di persone (nella foto reuters) s’è radunato nel centro di Kiev, invocando la fine della tregua. Erano presenti diversi esponenti del battaglione Donbass, uno dei gruppi paramilitari impegnati a fianco delle truppe regolari sul fronte dell’est.

Sotto certi aspetti anche Putin fronteggia l’imprevedibilità delle teste calde. Alcuni capi della rivolta dell’est rifiutano infatti la tregua. Il Cremlino guarda all’economia. Mosca stima che l’economia potrebbe andare in recessione, se colpita selettivamente dalle sanzioni occidentali. Arriverebbero nel caso in cui la tregua dovesse saltare, ha minacciato Berlino.