Ieri, a soli 53 anni, è morto a Skopje per infarto, il regista teatrale Tomaz Pandur. E come uno dei suoi grandi eroi, come Adriana Lecouvreur, il regista è morto sul palcoscenico, dove stava provando Re Lear per il Teatro macedone. Era sempre stato un artista «internazionale» Pandur, nato a Maribor, sul confine tra Slovenia e Austria, quando ancora era Jugoslavia. Ma la sua formazione era stata cosmopolita.

E a Maribor era tornato, a dirigere il Teatro nazionale della sua città. E aveva impiantato progetti spettacolari di grande respiro (e altrettanto budget), culminato in una maestosa Divina Commedia dantesca, dove i tre episodi avevano ognuno una diversa e imponente ambientazione, (anche il manifesto ne aveva riferito in quella occasione). Pandur lavorava abitualmente con la sorella Livia, che con lui traduceva e riduceva per la scena i testi.

Con lei, sempre in quei primi anni 90, si trasferì improvvisamente a New York, e si raccontava a causa di qualche dissesto economico a Maribor. In realtà l’ambiente cosmopolita era di certo il più adatto alla sua vena creativa e sperimentale. Negli ultimi anni si era però trasferito a vivere in Spagna.

Dovunque del resto era affascinato dalla possibilità di grandi produzioni, dalle strutture sceniche ardite, dai costumi rutilanti (ma anche senza), dove parole e opere di quei personaggi risuonassero.

Era stato sempre così, da Sheherazade (fine anni 80, vista in Italia) ai grandi testi romantici o shakespeariani, fino al colossale Michelangelo tratto da Krlesa,ospite al Mittelfest tre anni fa. Un artista e le sue opere, e la maledizione del genio da cui Pandur si sentiva fatalmemte attratto, e forse anche vi si riconosceva. .